Solo nel trecento si riescono ad attivarsi ampi lavori di rifacimento ben documentati della torre campanaria, che venne pagata con i fondi cittadini, e lo stesso municipio scelse Serafino Mignano, canonico della cattedrale, come responsabile dei lavori; tale scelte non venne fatta perché parte della élite governativa di San Michele Arcangelo, ma in qualità di esperto costruttore, tanto che la municipalità di Albenga gli affidò anche l'edificazione di altri interventi, affiancato dal cittadino Antonio Campexius.
L'origine del primo campanile è ignota, anche se la muratura è uguale a quella interna di epoca protoromanica. Il primo documento che attesa la presenza del campanile sono gli Statuti del 1288. La parte inferiore del campanile, sorto esterno alla cattedrale nella fase protoromanica limitata alla sola navata centrale, fu conglobata nella chiesa in occasione del suo ritorno all'antica pianta a tre navate effettuato in età romanico-gotica; ciò risulta ottenuto mediante l'apertura di due grandi archi, che hanno permesso il collegamento della base del campanile come la navata maggiore e la navata sinistra. La struttura dell'antica torre probabilmente aveva dei problemi, come si vede dal testo del capitolo statuario, dove si dice chiaramente che i primi soldi devono essere spesi per il campanile. Verso la fine del trecento le condizioni erano tanto critiche che si decise la demolizione e la sua ricostruzione. Le fasi di ricostruzione vennero analizzate da Nino Lamboglia grazie ai registri comunali conservati. Nel dicembre del 1388 il comune stabilisce che si ricerchino tutti i legati precedenti e le possibili risorse economiche da devolvere all'opera del campanile. Nel luglio del 1389 parte l'opera di demolizione da parte del mastro Antonio de Francia, del quale sappiamo avesse una guglia poiché da li si iniziò. Poi i lavori si fermano, ma nel 1392 si ha probabilmente un crollo improvviso e il 12 giugno il consiglio si annuncia che il campanile è distrutto e diroccato. Vengono nominati il prete Serafino Mignano e Antonio Campexium. Le delibere successive sono un susseguirsi di provvedimenti riguardanti l'opera: vengono aumentate le tasse e chiesto ai notai di richiedere un legato nei testamenti destinati al campanile. I lavori procedono fino all'estate del 1393 ma i problemi economici sembrano rallentare, tanto che i lavori finiranno nel 1398 ove con gli ultimi fondi si realizzò una barconata e un solaio, verosimilmente dell'ultimo piano della torre.
Dai libri contabili si evince che tutti i cittadini hanno contribuito alla realizzazione della nuova torre, fosse con la libera volontà di lasciare dei propri fondi, sia pagando le imposte o delle multe. Dei due massari non si capisce chiaramente il titolo, anche se sembra che Mignano sia architetto e impresario, che ha realizzato altri lavori in questi anni. I costruttori sono i due fratelli Tomaso e Oberto Caressia, di origine ingauna sono presenti in tutti i lavori comunali eseguiti alla fine del trecento, che chiesero un aumento dei salari previsti dagli statuti vista la difficoltà dell'opera. Lo studio non riesce ad attribuire la progettazione a una sola figura, tant'è che è probabile che gli attori principali delineassero le linee guida e poi i costruttori si applicassero con la propria esperienza. Il taglio dei mattoni delle arcate viene realizzato da Tomaso, che tuttavia risulta defunto il 18 dicembre del 1392, e il pagamento viene riscosso dal fratello che poi termina l'opera. C'è la presenza di Giacomo di Como, dove c'è una lunga tradizione edificatoria ma che non sembra avere il riconoscimento per il suo lavoro, come Antonio da Gaeta. Alla fine vengono pagate 290 giornate ai magistri di cui ai Caressia viene data quasi la metà; la singola giornata al maestro veniva pagata 9 soldi, mentre ai matayrorio erano quelli che impastavano la calce e venivano pagati 5 soldi a giornata. Per 102 giornate di maestri muratori corrispondono a 249 giornate da manovale. Gli uomini impiegati erano in parte di Albenga, della Valle Arroscia, di Voltri e Val Polcevera, di Nizza e dell'Alta Val Tanaro.
I materiali impiegati sono stati di 24500 mattoni, 27 moggi di calce (un moggio corrisponde a 16 cantara che sono 150 libre l'una). I materiali sono del posto, con i fornaciai che forniscono mattoni e calce che sono Guglielmo Trucco e Giovanni Enrico delle fornaci di Bastia. Le pietre utilizzate sono poche, provenienti da capo Mele per la risistemazione della vecchia base. Vennero utilizzate pietre provenienti dal Centa utilizzate per la murature a sacco. I legnami ricoprono una notevole importanza, anche per la realizzazione dei ponteggi e delle seste, sono documentate tre trabes provenienti da Savona via nave, e altro legname proveniente da Finale Ligure, i canterii che sono di albara o di pioppo, mentre le tavole di faggio, pioppo, abete e castano che provengono dai maestri d'ascia della valle Arroscia; le unità di misura di questo tipo di legname sono la canela ossia la dozzina. Tra le forniture ci sono i contenitori, cioè i bogliorii, segloni, concha de mata, barillarius e coffe; quindi vengono annotate i mazzi di corde, i canapi, una tenaglia e un grosso badile e due seghe, pochi utensili perché ogni maestro utilizzava i propri attrezzi. Poi ci sono poi la fornilia acquistata a fasci che era ramaglia per accendere il fuoco, i tortorerii che era cordame e un guindacium cioè un verricello.
Tra i materiali più particolari ci sono sette coroneli, le colonnine con il loro capitello, giunte via nave in diverse riprese, posizionate sulla torre probabilmente a integrazione di quelle che erano già presenti nel vecchio campanile. La spesa più simpatica era riferita al vino, acquistato in grande quantità, che oltre al vitto si concedeva, anche come parte integrante del compenso. Si sono consumate 380 pinte di vino per 351 giornate lavorative, circa una pinta a giornata di lavoro. Il vino veniva misurato con lo 'scandalleum, suddiviso in pinte.
Dall'analisi definitiva un costo importante lo aveva la manodopera, tuttavia non avendo altri documenti come quelli di Albenga in tutta la Liguria, è anche difficile il paragone. I lavori furono importanti e l'aspetto che aveva la fabbrica finita è rimasto sostanzialmente intatto fino ai giorni nostri. Resta esclusa dalla documentazione la guglia, che potrebbe essere fatta nei primi del quattrocento. Nel seicento un fulmine danneggiò in maniera poco significativa, ma venne ripristinato, mentre venne risistemato il sistema delle campane nel 1785 terminando nel 1790 con la rifusione della campana maggiore e la realizzazione di lavori murari legati alla cella campanaria e alla volta sottostante. Il 5 giugno del 1882 un fulmine si abbatteva sul campanile e nel 1888 si rinnovava la piramide con piastrelle bianche, rosse e verdi imitanti la dimensioni e colori di quelli precedenti. Qua le piastrelle vennero fatte a Milano dai Richard con materiali provenienti dall'Inghilterra.
Terminato il campanile si inizia a lavorare sul nuovo coro, con impulso da parte del municipio, poiché si riteneva la chiesa estremamente degradata. Il 13 aprile del 1399 viene portato per la prima volta in consiglio comunale il problema della cattedrale, a già a fine di maggio lo stesso nomina due massari, che assieme a quelli della cattedrale, possano recuperare i crediti del capitolo stesso per riparare la chiesa. Non si conosce la volontà espressa in questi anni da parte del vescovo, rilevante il fatto che Girberto Fieschi che ricoprì la carica dal 1380 al 1419 governava solo tramite vicariati, lasciando il capitolo della Cattedrale a confrontarsi liberamente con il comune. Sopra il coro venne rifatta una parte di tetto, con il comune che concede un salvacondotto per acquisire dalla Riviera di Levante degli abayni (tegole di ardesia tipiche genovese). Avvennero anche altre trasformazioni, tanto che la cattedrale vende al comune una colonna e del legname per la costruzione della logga nel 1404. Tali lavori procedettero per diversi anni, tanto che nel 1420 Papa Martino V concesse al vescovo Antonio Da Ponte, la possibilità di vendere indulgenze durante le festività per riuscire a portare a termine la fabbrica.
Dalla contabilità comunale risulta che dalle imposte del 1479 era stata prevista di investire la somma importante di 500 lire al massaro della Cattedrale Francesco Marchese se il capitolo avesse raddoppiato la somma investita nella cattedrale, tranne il caso che il municipio avrebbe potuto ritirare tale somma in caso di necessità, cosa che avvenne nel 1481 quando vennero edificate opere di difesa. Nel 1483 viene destinata la somma di 160 lire e 18 soldi pro fabrica ecclesie Sancti Michealis. C'è il bisogno di rifare la sacrestia, dove l'umidità non permetteva il mantenimento degli arredi e dei vestiti, ma il Comune non ci sente, anche se nel 1489 destina 20 fiorini per fare il progetto. Nel 1491 e nel 1499 se ne ridiscute, ma senza successo. In realtà dal Liber Massarie sappiamo che il comune destina fondi modesti, per i quali viene rifatta la porta di San Verano e per il borchono magno cioè la finestra tra le due lesene in facciata, oggi murata, dove nel 1509 vengono rifatti i vetri e la rete, assieme a due finestre del Sancta Sanctorum ad opera del frate Battista benedettino magister vitreorum; viene rifatto anche il portale della facciata. Solo nel secondo decennio del cinquecento viene rifatta la sacrestia, esattamente il 30 gennaio del 1513 il conto del capitolo prevede pro fabrica sacristie magne et parve et camararum dicti capituli. Il comune contribuisce con la somma di 500 lire con la clausola che nella nuova fosse installato lo stemma del comune. Nei restauri avvenuti nel 1989 che la portarono allo stato originale, comparvero sulla sommità da due chiavi di volta in ardesia uno con lo stemma del vescovo Marchese e l'altro con quello del comune.
Nel portico della cattedrale erano presenti numerose tombe, come tra la cattedrale e il battistero e dietro l'altare maggiore, dove è stato identificato il cimiterum puerorum o paraize (paradiso). Nella documentazione si parla anche della pigna anche se non si sa esattamente dove e cosa fossa. Con Napoleone Fieschi si ha la realizzazione di un nuovo altare dedicato a Sant'Ampelio e la traslazione delle reliquie di San Verano avvenute nel 1460. La famiglia ingauna dei Cepolla si inserisce in questo nuovo fervore per il culto di San Verano, andando a realizzare una nuova cappellania con il contributo anche del Comune per 80 lire nel 1488 in laborerio troinarum Sancti Verani che prova abbellimenti e che ci spiega che la forma era come un avancorpo all'interno della navata laterale.
All'epoca la città era divisa in associazioni di arti e mestieri, le caritates, in cui lo scopo era quella di darsi soprattutto reciproca assistenza, ognuna di queste aveva un altare di riferimento in cattedrale: i notai erano devoti a San Marco, i mercanti alla Trinità, gli orefici e fabbri ai Santi Eligio e Ampelio, osti e fornai a Sant'Antonio, mentre calzolai e conciatori ai Santi Crispino e Crispiniano. In quest'epoca il grande organo ebbe bisogno di un sostegno per evitarne il crollo e nel 1549 il capitolo acquistò una colonna che un secolo dopo venne demolita. Grazie alle molte testimonianze documentali, sappiamo una forte presenza di altari disseminati nelle ali laterali, ma che non uscivano da questi, alcuni avevano dei cancelli e una parte di strutture esterne rialzate o con colonnati e timpani, erano presenti dipinti e polittici, anche se non si trovano tracce di affreschi anche se questi sono presenti dietro l'altare maggiore e sono databili per quest'epoca; erano presenti diverse tombe vicino agli altari di riferimento, vicino all'altare maggiore, come in mezzo alla chiesa o vicino al coro. Solo con il rifacimento successivo, ad opera del vescovo Luca Fieschi, gran parte di queste letture artistiche si sono perse.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_San_Michele_Arcangelo_(Albenga)