La grotta di Lamalunga è il luogo di ritrovamento dell'Uomo di Altamura. Questa struttura carsica è situata nella zona delle Murge alte, contesto morfologico caratterizzato da lame, da doline a pozzo e dalla dolina di crollo, denominata Pulo di Altamura. Il paesaggio è caratterizzato da una successione di aride pietraie e da una quasi totale assenza di vegetazione. Gli affioramenti geologici della zona sono individuabili come Calcare di Altamura (Cretaceo medio superiore). L'andamento medio della grotta non è mai molto profondo, lo spessore della copertura rocciosa si presenta infatti con valori mai superiori ai 25-30 metri. Nell'evoluzione della grotta è evidente una fase freatica insieme a fasi più recenti di crollo e di ciclicità nella stratificazione di sedimenti.
L'analisi morfologica della grotta fa ipotizzare la presenza in origine di vari accessi, anche se attualmente sono limitati ad uno solo. L'esistenza di almeno un altro ingresso è dimostrata dal sottostante cono detritico, nella zona prossima all'ingresso attuale. Spesso questi pozzi carsici si trasformavano in trappole naturali per animali ed uomini. Questo sembra essere accaduto anche nel nostro caso a giudicare dai resti degli animali sparsi sul fondo della grotta e dallo scheletro dell'Uomo di Altamura che sembra essersi trascinato con il radio e una scapola fratturata fino al fondo di uno stretto cunicolo, forse alla ricerca di una via di uscita.
All'interno della grotta, oltre all'Uomo di Altamura sono presenti anche molti resti di faune sparsi su gran parte della grotta. Sebbene non esistano studi approfonditi su di essi, si è visto che sono rappresentati principalmente da cervidi; in particolare la specie più rappresentata è il Daino, seguita dal Cervo rosso. Pochi resti sono attribuibili invece a Equini, Ienidi (genere Crocuta o Hyaena), Lupo, Bovini (genere Bos o Bison), oltre che a micromammiferi e Lagomorfi non meglio classificati..
L'Uomo di Altamura fu scoperto il 7 ottobre 1993 all'interno della grotta di Lamalunga, da Lorenzo Di Liso, Marco Milillo e Walter Scaramuzzi, appartenenti al Club Alpino Italiano di Bari, invitati a scendere nella grotta dal Centro Altamurano Ricerche Speleologiche (C.A.R.S.), ritenuto invece scopritore della grotta.
Sebbene il fossile sia stato scoperto nel 1993, la grotta fu scoperta ed esplorata per la prima volta nel 1989 da alcuni speleologi del CARS, che si limitarono tuttavia solo ad un primo ambiente poiché un tappo di fango chiudeva il collegamento con gli altri ambienti facendo sembrare la grotta limitata a questo unico ambiente. Nel 1991 durante un'altra discesa nella grotta gli speleologi del CARS si accorsero che vi era una corrente d'aria proveniente dall'altra parte del tappo di fango, facendo intuire che la grotta non fosse circoscritta a quell'unico ambiente. Iniziarono così i lavori di scavo di un tunnel che permettesse l'accesso e l'esplorazione della restante parte della grotta; tali lavori durarono circa due anni e la prima esplorazione della galleria principale e di parte delle diramazioni fu fatta il 26 settembre 1993. Presenti a quella prima esplorazione c'erano gli speleologi del CARS, Gianni Dinardo, Manilo Porcelli, Giovanni Ragone, Vito Sardone, Angelo Squicciarini e il socio del Gruppo Speleologico Vespertilio C.A.I. di Bari Walter Scaramuzzi, su invito di Squicciarini. L'esplorazione della camera principale terminò il 30 settembre di quello stesso anno, quando dopo un centinaio di metri gli operatori del CARS raggiunsero il fondo della galleria sul quale si aprivano due diramazioni, il ramo ovest e il ramo est, parzialmente occlusi da grossi massi crollati dalla volta.
La mattina del 7 ottobre 1993, sette speleologi del C.A.R.S. scesero nuovamente nella grotta dividendosi in due gruppi; un gruppo si sarebbe occupato dei rilevamenti topografici mentre l'altro gruppo di un'ulteriore esplorazione e dei rilevamenti fotografici. I due gruppi furono raggiunti, a metà mattinata, dai soci del Gruppo Speleologico Vespertilio C.A.I. di Bari, Walter Scaramuzzi, Lorenzo di Lisio e Marco Milillo, scesi per effettuare alcune riprese. Durante tali operazioni Lorenzo di Lisio, seguito dagli altri due soci C.A.I., si insinuò in uno dei due cunicoli della diramazione est, caratterizzato da molti resti faunistici, in fondo al quale, in quella che è stata poi soprannominata abside, scoprì il giacimento osseo con un cranio chiaramente attribuibile ad una forma umana. Le immagini realizzate quella mattina furono visionate nella tarda serata del 7 ottobre nella sede del C.A.R.S., dove furono invitati anche tre antropologi dell'Università di Bari, tra i quali Eligio Vacca. Essendosi resi conto della potenziale straordinarietà della scoperta, la mattina successiva, dopo aver avvisato la Soprintendenza Archeologica della Puglia, il gruppo di speleologi accompagnò Eligio Vacca nella grotta per permettergli una visione diretta e quindi un'analisi più accurata dei resti; di quella discesa rimane un video nel quale Vacca descrisse le ossa che riuscì a riconoscere, confermando l'eccezionalità della scoperta.
Si tratta di un esemplare umano adulto, intrappolato nella grotta di Lamalunga in Altamura, rimasto inglobato nelle stalattiti e stalagmiti che gli sono cresciute intorno e che lo hanno conservato intatto.
L'equipe guidata da Vittorio Pesce Delfino dell'Università di Bari avanzò, subito dopo la scoperta, la prima proposta di collocazione filetica e la prima stima, su basi esclusivamente morfologiche, del reperto; considerandolo una forma di pre-neandertaliano. Secondo questa ipotesi l'Uomo di Altamura doveva collocarsi antecedentemente alle forme più antiche di Neanderthal classici e successivamente alle fasi corrispondenti all' Homo erectus.
Di conseguenza la stima della datazione prevedeva un intervallo tra 400.000 e 100.000 anni fa, con valori più probabili intorno a 150-250.000 anni fa. Questi primi studi, condotti preservando il reperto nel suo sito di ritrovamento, evitando in modo assoluto la rimozione di frammenti ossei o di connesse concrezioni calcaree, hanno permesso di riconoscere con certezza i tipici caratteri neanderthaliani (morfologia delle orbite e degli ispessimenti ossei sopraorbitari, assenza di fossa canina e presenza di uno spigolo ben evidente sull'osso mascellare, ispessimento dell'osso occipitale, caratteristica della apofisi mastoide, esistenza di uno spazio retromolare e andamento del margine superiore della branca ascendente della mandibola). Alcune caratteristiche del reperto associano caratteri che tipicamente ricorrono in Homo sapiens, tra i quali, in particolare, la convessità della squama dell'osso occipitale.
Gli ultimi studi, eseguiti viceversa analizzando in laboratorio reperti di facile rimozione, hanno indicato una datazione meno incerta ma non in contraddizione con la prima stima del Prof Vittorio Pesce Delfino; le analisi sugli strati di calcite depositatisi attorno al reperto, effettuate nel 2015 da un team guidato da Giorgio Manzi, hanno determinato con certezza che lo scheletro, riferibile a un Neanderthal, risale a un periodo fra i 128.000 e i 187.000 anni fa.
L'interesse dei media verso il reperto paleoantropologico Uomo di Altamura deriva da numerosi fattori quali la spettacolarità naturalistica dell'intero complesso rappresentato dalle ossa nell'ambiente carsico che le ha concrezionate, saldandole le une alle altre e rendendole assolutamente fisse, la completezza dello scheletro, e le caratteristiche morfologiche richiamate.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Uomo_di_Altamura