Il duomo di Ancona è dedicato a san Ciriaco ed è la cattedrale metropolitana dell'arcidiocesi di Ancona-Osimo. È una chiesa medioevale in cui lo stile romanico si fonde con quello bizantino, evidente nella pianta e in molte decorazioni. Sorge in scenografica posizione alla sommità del colle Guasco, già occupata dall'Acropoli della città greco-dorica, da dove domina tutta la città di Ancona e il suo golfo. Nel maggio del 1926 papa Pio XI l'ha elevata alla dignità di basilica minore.
Il 30 maggio 1999 si è festeggiato il millenario della dedica della cattedrale, con la visita nel capoluogo dorico di papa Giovanni Paolo II che vi celebrò messa.
Dal 3 all'11 settembre 2011 la cattedrale è stata al centro delle celebrazioni del Congresso eucaristico nazionale con la visita del papa Benedetto XVI.
Secondo la tradizione storiografica, che è basata sulle citazioni riportate sopra, i dori siracusani eressero ad Ancona un tempio dedicato ad Afrodite, quando la città era colonia greca con il nome di Ankón. Il tempio è identificato con quello rappresentato nella scena 58 della Colonna Traiana.
In particolare, il carme 36 di Catullo, da cui è riportato il brano sopra, ci presenta, quasi come in un inno cletico, i luoghi che fin dall’età arcaica furono sedi del culto di Afrodite, diffusosi lungo le antiche rotte di navigazione dall'oriente verso l'occidente. Sono così citate dal poeta le città di Cnido, in Asia Minore, di Idalio, Golgi ed Amatunte, nell'isola di Cipro, ed infine di Urio, Ancona e Durazzo, sulle coste adriatiche. Ancona rientra dunque tra le città mediterranee più note nell'antichità per il culto di Afrodite. È interessante notare che, nella versione originale del carme di Catullo, il termine Ancona è un accusativo con desinenza greca; in latino, e specialmente in poesia, il nome della città è sentito come un termine greco e ciò ne influenza la declinazione.
Il passo di Giovenale, invece, ci informa sulla localizzazione del tempio, dominante sul mare: in questo senso si deve intendere l'espressione "che la dorica Ancona innalza".
L'antico edificio, del quale furono rinvenute le fondazioni sotto al Duomo, aveva una pianta corrispondente a quella del transetto della chiesa attuale. Tali fondazioni sono costituite da blocchi di arenaria sovrapposti; quelle perimetrali compongono un rettangolo di metri 19 X 32, hanno una larghezza di metri 2,50 e sono conservate per un'altezza massima di circa due metri. Parallele ed interne a questo rettangolo, e con pianta a Π (pi greco), sono rimaste tracce della fondazione della cella . Non tutti i blocchi di arenaria delle fondazioni si sono ritrovati; dove essi mancano, sono comunque rimaste le trincee ove erano allocati, cosa che permette di ricostruire tutto il sistema fondante del tempio e di formulare ipotesi ricostruttive del suo aspetto originario. Importante, a tal proposito, è la presenza di trincee di collegamento tra le fondazioni esterne e quelle interne, che permette di risalire al numero delle colonne di ogni lato.
Secondo le ipotesi comunemente accettate, l'edificio sacro era un periptero esastilo con l'ingresso rivolto verso sud-est, ossia verso la città e la strada di accesso all'acropoli.
In base ad alcune caratteristiche rilevabili dalle fondazioni rimaste, alcuni studiosi pensano che quello di Ancona sia stato un tempio dorico del IV secolo a.C., ossia dell'epoca della fondazione greca della città. Sarebbe stato un tempio periptero senza opistodomo, con dieci colonne sui lati lunghi, sei sui lati minori (esastilo) e due colonne in antis, ossia davanti alla cella. Come normale nei templi dorici, anche il tempio anconitano avrebbe avuto una gradinata (crepidine) tutto intorno al perimetro. Tali caratteristiche permettono di inserire l'edificio anconitano nel gruppo dei templi che presero come modello quello di Asclepio ad Epidauro, costruito nel 380 a.C. circa, ossia negli stessi anni dell'arrivo dei Siracusani ad Ancona. L'ingresso era verso sud-est, ossia verso la via d'accesso all'acropoli.
L'ipotesi è basata sulla misurazione delle distanze tra le colonne del tempio, deducibile dall'esame delle fondazioni: la distanza tra le colonne angolari e quelle accanto era inferiore rispetto alle distanze tra le altre colonne; questa caratteristica rimanda inequivocabilmente all'ordine dorico, come soluzione classica del conflitto angolare. A sostegno dell'ipotesi che il tempio anconitano sia stato un tempio dorico, inoltre, si ricorda l'esistenza di altri templi greci dorici esastili del IV secolo a.C. simili a quello di Ancona, ossia senza opisotodomo e con numero ridotto di colonne sul lato lungo (dieci al posto delle dodici previste dagli standard più comuni). Il tempio anconitano troverebbe così confronti coevi.
Secondo altri, invece, il tempio sarebbe stato sempre un periptero esastilo e con dieci colonne sui lati lunghi, ma di ordine corinzio e su podio con scalinata frontale, tipologia tipica dell'architettura romana e non greca; risalirebbe al II secolo a.C., e dunque ad un'epoca in cui la città già sentiva l'influsso romano.
L'ipotesi è basata sul ritrovamento di marchi di cava con due lettere latine ("F" e "V") e sulla presenza al Museo Diocesano di un capitello corinzio (e non dorico) che sarebbe appartenuto al tempio, in quanto scolpito nella stessa pietra delle fondazioni rimaste. Inoltre, l'autore di questa ipotesi critica quella esposta nel paragrafo precedente, ossia quella del tempio dorico. Tale ricostruzione è ritenuta errata, in quanto prevede necessariamente una crepidine tutto intorno al tempio, ritenuta invece impossibile per la presenza nelle immediate vicinanze del perimetro del tempio di un tratto di lastricato e di un blocco di roccia madre sporgente di cinque centimetri rispetto al piano di calpestio. Non si dà giustificazione, però, dell'accorciamento della distanza tra le colonne d'angolo, rilevabile nelle fondazioni, che nell'ipotesi esposta sopra era stato un elemento fondamentale per identificare l'ordine dorico del tempio. Altra critica all'ipotesi "tempio dorico" precedentemente esposta è che i confronti presentati dagli studiosi che la sostengono sono tutti relativi a templi greci del Mediterraneo orientale, ma non della Sicilia, dove templi simili coevi sono assenti, pur essendo il luogo da cui provenivano i fondatori di Ancona.
Volendo esaminare insieme le due ipotesi, è necessario comunque considerare che il tempio, nel corso dei secoli, potrebbe essere stato anche ricostruito o profondamente ristrutturato, come testimonierebbe un'epigrafe riutilizzata nella basilica paleocristiana che fu costruita sui resti del tempio pagano. In tale documento, di età augustea, si cita un rifacimento totale di un edificio, non specificato a causa della frammentarietà dell'iscrizione riportata. È però conservato il titolo di colui a cui si deve l'intervento: si tratta di un "prefectus Egypti". Sarebbe stato poi il tempio restaurato o ricostruito quello ad essere raffigurato nella Colonna Traiana e quello testimoniato dai marchi di cava di cui al paragrafo precedente.
Come detto sopra, tutti gli studiosi odierni identificano il tempio anconitano con quello presente sulla collina della scena 58 della Colonna Traiana; nel bassorilievo traianeo, però, esso è rappresentato tetrastilo (cioè con quattro colonne sul fronte) e di stile ionico; ciò contrasta con tutte le ipotesi ricostruttive. Gli studiosi, però, concordemente pensano che i particolari raffigurati non siano da prendere alla lettera, in quanto nei rilievi della Colonna gli edifici sono sempre fortemente schematizzati, sia per esigenze di spazio, sia perché l'arte romana punta più alla chiarezza del messaggio che alle proporzioni e alla rappresentazione realisticamente fedele, che viene piegata alle esigenze comunicative. Per l'osservatore della scena, in questo caso, era importante riconoscere la città attraverso i suoi simboli, e la presenza di un tempio sulla cima di una collina, di uno alla sua base (il tempio di Diomede), di un arco di proporzioni singolarmente slanciate su un molo (l'Arco di Traiano) ed infine di strutture portuali, era sufficiente per il riconoscimento della città di Ancona.
Nel 1932, alcuni saggi eseguiti nei pressi dell'abside sinistra del duomo permisero di scoprire i resti di una muratura costituita da grandi blocchi di arenaria in filari pseudoisodomi; subito alcuni studiosi ipotizzarono che tale struttura appartenesse ad un edificio templare, forse quello dedicato a Venere citato da Catullo e Giovenale. Che l'edificio cristiano fosse stato costruito sopra al tempio di Venere/Afrodite era già stato ipotizzato dalla storiografia, pur in mancanza di testimonianze archeologiche..
Nel 1948, in occasione dei lavori di restauro del duomo, danneggiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, superando numerose difficoltà fu eseguito uno scavo completo di tutto il sottosuolo, ed in effetti furono rinvenuti resti di un tempio pagano, coincidente con il transetto della chiesa (vedi immagine a fianco).
Il tempio fu subito identificato con quello citato da Catullo e Giovenale e rappresentato nella scena 58 della Colonna Traiana.
Alla scoperta seguì presto il primo studio dettagliato volto a comprendere la tipologia dell'edificio sacro. Tale studio ipotizzava per l'antico edificio la struttura di un tempio italico sine postico (cioè senza colonnato posteriore) del III - II secolo a.C. e con un ingresso rivolto a nord-ovest, ossia verso il mare aperto. Tale ipotesi è oggi considerata superata da tutti gli studiosi, a causa di notevoli incongruenze con le fondazioni. Per comprendere il motivo della formulazione dell'ipotesi del "peripetro sine postico", è necessario rievocare il clima culturale dell'archeologia italiana della fine degli anni quaranta del Novecento. Si era in un'epoca in cui gli archeologi italiani finalmente riconoscevano all'arte romana una dignità precedentemente oscurata dal mito di quella greca. La tipologia del tempio "periptero sine postico" era in quegli anni assurta a simbolo della romanità e ciò influenzava un'interpretazione a senso unico delle strutture templari di aspetto originario dubbio. Così era accaduto anche per il tempio anconitano.
Nel piazzale del Duomo, sconvolto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, furono notate colonne di arenaria scanalate, allora interpretate come colonne del tempio greco.
Secondo un'ipotesi che ha dominato la storiografia sino a tutto il Novecento, seguita anche da alcuni studiosi moderni, Afrodite/Venere aveva nel tempio anconitano l'epiclesi o epiteto di "euplea" (Εὔπλοια, Éuploia), ossia di "dea della buona navigazione", protettrice dei naviganti. La tesi è basata soprattutto sul passo di Catullo (36, 11-15), in un contesto in cui Venere appare una divinità prettamente marina e il tempio di Ancona è associato a quello di Cnido (Afrodite cnidia era chiamata dagli stessi Cnidi "euplea"). Parimenti l'associazione con il tempio di Afrodite a Idalio, sull'isola di Cipro, è significativo in merito, dato che anche in quest'isola si ipotizza che fosse diffuso il culto della dea della buona navigazione. Infine si può notare che gli altri templi citati da Catullo, insieme a quello di Ancona, sorgevano tutti in città vicine al mare o poste direttamente sulla costa; nel caso di Cnido e di Idalio, poi, i templi sorgevano su promontori, come quello anconitano, in modo che i naviganti potessero vederli da lontano. L'idea di una divinità legata alla navigazione è rafforzata dalla posizione dominante sul mare dell'edificio sacro anconitano. Secondo gli studiosi più recenti, inoltre, l'epiclesi di "euplea" è probabile anche per la compresenza, nella moneta greca di Ankón, del profilo di Afrodite e di due stelle, identificate con i Dioscuri, protettori dei naviganti.
Secondo altri studi, basati sull'analisi dell'immagine del tempio che compare nella scena 58 della Colonna Traiana, identificato con quello di Ancona, Venere aveva invece nel nostro caso l'attributo di Venus genetrix, ossia di "Venere genitrice". Infatti, nella scena della colonna raffigurante Ancona, la statua della divinità, che solitamente era collocata nella cella, è esposta davanti al tempio e corrisponde alla tipologia della Afrodite "Louvre-Napoli", rappresentazione, appunto, di Venere genitrice.
Sopra al tempio classico venne costruita, nel VI secolo una basilica paleocristiana dedicata a San Lorenzo, di cui si conservano tracce importanti all'entrata della "Cripta dei Protettori". Era formata da tre navate con ingresso verso sud-est (dove attualmente è presente la cappella del Crocifisso); se ne trovano testimonianze in alcuni lacerti musivi sotto al pavimento attuale; anche all'esterno delle mura del transetto sono presenti tracce dell'antica muratura, con ricorsi di mattoni e di arenaria. La basilica di San Lorenzo, posta sulla sommità del colle Guasco, con il portale d'ingresso rivolto all'epoca verso la città, alla quale verosimilmente la collegava lo Scalone Nappi, faceva da contraltare alla Chiesa cattedrale, sita sul colle Astagno, dedicata a Santo Stefano, in quanto ospitava una sacra reliquia del santo, ovvero uno dei sassi con i quali il Protomartire era stato lapidato a Gerusalemme, preso da un marinaio presente all'evento e da questi poi donato alla comunità cristiana di Ancona che edificò la chiesa per degnamente conservare la reliquia, che si dimostrò ben presto miracolosa. Tra la fine del X secolo e l'inizio dell'XI Ancona iniziò il suo cammino di repubblica marinara. Segno di questo evento fu la nuova funzione della chiesa, che divenne la nuova cattedrale della città, al posto di quella più antica, dedicata a Santo Stefano. In questa occasione la chiesa venne ampliata, tra il 996 e il 1015; si mantennero però le tre navate preesistenti.
Finiti i lavori, nel 1017 i corpi dei santi protettori San Marcellino e San Ciriaco vennero trasferiti nella cripta all'interno della basilica.
Importanti lavori di ampliamento vennero eseguiti tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII secolo ad opera di Mastro Filippo. Si scelse di aggiungere un corpo trasversale ortogonale al preesistente, in modo da formare una croce greca; venne inoltre aperto un nuovo ingresso principale verso sud-ovest. Con questa nuova geniale composizione la pianta della chiesa venne resa di tipo bizantino e rivolta verso il porto, sorgente del benessere di cui godeva ormai la città. Inoltre l'edificio sacro assunse la peculiarità di avere i bracci laterali sopraelevati, che vennero delimitati da preziosi plutei intarsiati tipici della tradizione artistica bizantina.
Nella metà del Duecento, Margaritone d'Arezzo realizzato il protiro, con i monumentali leoni stilofori, divenuti in breve uno dei simboli della città. Inoltre, sempre nello stesso periodo, Margaritone sostituisce la cupola precedente con una più alta e di stile gotico, i cui archi rampanti furono realizzati internamente per non alterare l'armonia romanica dell'esterno.
Tra il XIII e il XIV secolo la basilica venne dedicata al patrono di Ancona, San Ciriaco, martire e, secondo la tradizione, vescovo della città.
Nel XV secolo vennero costruiti il coro e le due adiacenti cappelle, in prosecuzione della navata centrale e delle navate laterali del braccio longitudinale. La basilica assunse allora l'aspetto che ancor oggi conserva. Nella cappella di sinistra (del Sacramento) lavorarono importanti artisti rinascimentali: Piero della Francesca affrescò sulla parete uno Sposalizio della Vergine e Giovanni Dalmata realizzò il monumento a Girolamo Ginelli.
Sempre nel XV secolo, papa Pio II morì nell'episcopio che sorgeva a fianco della cattedrale (oggi sede del Museo Diocesano "Don Cesare Recanatini"), in attesa di partire per la crociata che aveva indetto per tentare di salvare i territori dell'ex-impero bizantino minacciati dai Turchi dopo la caduta di Costantinopoli. Dietro all'altare maggiore sono da allora tumulati i precordi del pontefice umanista.
Nella prima metà del XVIII secolo vi lavorò il grande architetto Luigi Vanvitelli, che risistemò il braccio sinistro del transetto, ove progettò la monumentale edicola, dove venne posta l'immagine votiva della Madonna del Duomo. Egli inoltre intervenne nel protiro, migliorandone la stabilità con l'aggiunta di due colonne dietro ai leoni stilofori.
Nel 1796, nell'imminenza dell'arrivo dell'esercito napoleonico, centinaia di fedeli furono testimoni del Prodigio della Madonna del Duomo. Purtroppo durante il periodo di dominazione francese la basilica perse il suo antico portale bronzeo, rimosso e fuso dalle truppe occupanti.
Nel 1834 l'architetto anconetano Niccolò Matas restaurò l'edificio e fece nuovamente ricoprire di rame la cupola. Nel 1883 la basilica subì un secondo restauro, assai imponente, ad opera di Giuseppe Sacconi, futuro soprintendente ai monumenti delle Marche e dell'Umbria dal 1891 al 1902, che la riportò all'originario austero aspetto medievale, eliminando le decorazioni e gli intonaci sovrapposti nel corso dei secoli. In quell'occasione furono riscoperte le tracce della cattedra dell'XI secolo, cioè dell'epoca in cui l'edificio sacro divenne cattedrale; ancor oggi i resti sono visibili dietro all'altare del braccio sinistro.
Il primo giorno d'inizio della prima guerra mondiale, il 24 maggio 1915, il bombardamento navale operato dalla flotta austro-ungarica inflisse gravi danni alla cappella del Sacramento, che venne restaurata e in parte ricostruita nel 1920; in quell'occasione forse andarono perduti gli affreschi di Piero della Francesca, che già nel 1800 erano stati coperti da intonaco.
I bombardamenti aerei anglo-americani della seconda guerra mondiale colpirono il transetto destro, che fu quasi totalmente distrutto insieme alla sottostante Cripta delle Lacrime, ove aveva sede il Museo di arte sacra. Lo stesso transetto venne ricostruito per anastilosi e il sacro edificio venne solennemente riaperto nel 1951. Durante i lavori di restauro furono scoperti sotto l'edificio cristiano i resti del precedente tempio classico dedicato a Venere.
Il terremoto del 1972 provocò danni di piccola entità, a causa dei quali, tuttavia, la Cattedrale fu dichiarata inagibile e quindi interdetta al culto. Le reliquie di San Ciriaco e l'immagine della Madonna miracolosa furono traslate nella moderna Chiesa del Sacro Cuore, edificio in cemento armato eretto intorno al 1920 su disegno dell'architetto Lorenzo Basso, nel rione Adriatico, ove rimasero sino alla ripresa di funzionalità del Duomo, a seguito degli imponenti lavori che adeguarono la basilica a severe norme antisismiche e che ne permisero la riapertura ai fedeli nell'autunno del 1977. Prima della riapertura fu effettuata la ricognizione del corpo di San Ciriaco, che provò la verità dell'antica tradizione relativa al martirio con ingestione di piombo fuso.
Nel 1926 il duomo fu insignito del titolo di Basilica pontificia.
Tra il 1999 e il 2000 fu celebrato il millenario del duomo di Ancona; tale anniversario non era riferito alla data di costruzione dell'edificio sacro, che risale al IV secolo, ma al momento in cui esso diventò cattedrale.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Duomo_di_Ancona