La chiesa di San Domenico è uno dei più rinomati edifici sacri di Arezzo per la presenza, al suo interno del Crocifisso ligneo dipinto da Cimabue, considerato uno dei capolavori della pittura del Duecento, databile alla fine degli anni sessanta. Nel gennaio 1276, nel luogo in cui era ancora in fase di costruzione, la chiesa di San Domenico ospitò quello che per la Chiesa di Roma fu il primo conclave della storia. Nell'aprile del 1960 papa Giovanni XXIII la elevò alla dignità di basilica minore.
La chiesa, in stile romanico, fu iniziata nel 1275 e finita nel XIV secolo. Alla sua costruzione concorsero i contributi finanziari delle famiglie Ubertini e Tarlati. Importanti modifiche all'interno dell'edificio furono apportate nella seconda parte del XVI secolo, in particolare, vennero aggiunti nuovi altari e furono imbiancate le pareti affrescate. A seguito del tentativo di riforma degli ordini religiosi posto in essere nel Granducato di Toscana nel 1782, la chiesa fu abbandonata fino all'inizio del XX secolo. In quel periodo cominciarono i lavori di restauro sull'edificio, che comportarono anche la rimozione degli altari aggiunti nel Cinquecento e Seicento e il recupero degli affreschi del Duecento e Trecento, e che si conclusero nel 1924. La costruzione del protiro all'ingresso fu realizzata nel 1936 su progetto di Giuseppe Castellucci, allo scopo di proteggere gli affreschi della lunetta posta sopra il portone.
La facciata asimmetrica, in muratura, comprende anche il campanile a vela dotato di due campane. L'interno con tetto a capriate ha una sola navata, che prende luce da 12 finestre monofore (6 per lato) la cui distanza reciproca diminuisce via via che ci si avvicina all'abside, conferendo così un maggior senso di profondità all'aula.
Il monumento funebre nella zona absidale della chiesa a sinistra del celeberrimo Crocifisso di Cimabue, ad alcuni metri da terra (per questo motivo non è possibile cogliere a pieno ogni dettaglio dell'opera) sarebbe quello di Ranieri degli Ubertini, vescovo di Volterra dal 1273, attribuibile a Gano di Fazio. Il sepolcro, in seguito a dei restauri realizzati dalla Soprintendenza di Arezzo, fu spostato dalla parete destra della navata a quella di sinistra dell’altare, posizione attuale e originale, poiché era stato rinvenuto un affresco sotto lo scialbo. Le manomissioni che il complesso ha subito nel corso dei secoli hanno comportato la perdita dei gattoni rampanti del fastigio e delle statue che verosimilmente coronavano i piedritti dell’arcata. Il monumento funebre è composto dal baldacchino e dalla cassa; il gisant non è posto su di essa, come nel caso del sepolcro di Gregorio X, bensì scolpito nella parte frontale, tra due figure di domenicani dalle masse nitide e compatte che compiangono il defunto. Rispetto ai frati, la figura del giacente presenta semplificazioni formali come la piega tubolare formata dalla gamba avanzata sotto la veste che anche in seguito caratterizzeranno la maniera di Gano. Il sepolcro pensile si compone di un arco ogivale trilobato sorretto da due colonnine. Nella sommità del baldacchino vi è lo stemma della famiglia del Vescovo mentre al suo interno vi è un affresco raffigurante la Vergine col bambino in trono tra angeli, danneggiato soprattutto nella porzione inferiore, completamente perduta. L’esecuzione del monumento Ubertini è cronologicamente incerta; non è noto l’anno esatto del decesso del vescovo, da situare attorno al 1300-1310. Se l’attribuzione a Gano venisse accettata definitivamente, questo monumento costituirebbe la sua prima opera conosciuta e il più antico esempio conservato di tomba pensile ad Arezzo.
La decorazione pittorica interna, trecentesca, è a tutt'oggi bene documentata.
È lavoro maturo (1395-1400) di Spinello Aretino l'affresco con i Santi Filippo e Giacomo Minore e storie della loro vita e di Santa Caterina, sulla parete interna della facciata. Del figlio Parri di Spinello è la Crocifissione tra santi, sulla parte destra della parete interna della facciata: a destra del Crocifisso sono raffigurati la Vergine e San Nicola ed alla sinistra i santi Giovanni e Domenico.
La cappella Dragomanni, famiglia nella cui arme figurava un drago, ha struttura gotica con altare in pietra nera scolpito da Giovanni di Francesco da Firenze (1368) e con affresco rappresentante Gesù adolescente che dialoga con i dottori del Tempio, del senese Luca di Tommè.
In una nicchia una terracotta invetriata di Giovanni e Girolamo della Robbia, realizzata fra il 1515 e il 1520 rappresenta San Pietro da Verona.
Nella cappella sinistra il trittico di Giovanni d'Agnolo, sull'altare, rappresenta: al centro l'Arcangelo Michele, alla sua destra (sinistra per chi guarda) San Domenico, ed alla sua sinistra San Paolo.
Nella cappella di destra, ove viene custodita l'Eucaristia, una Madonna col Bambino in pietra, opera anonima di ambito aretino, facente parte una volta della serie di sculture che dal 1339 decoravano le dieci porte delle mura della città, qui ricoverata per sottrarla al degrado provocato dall'esposizione alle intemperie.
Nella chiesa fu sepolto il pittore rinascimentale Niccolò Soggi, citato dal Vasari nelle sue Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori.
Nella lunetta posta sopra il portone di ingresso si trova un affresco di Angelo di Lorentino rappresentante la Madonna col bambino tra San Domenico e San Donato.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Domenico_(Arezzo)