La Rocca di Arquata del Tronto è una fortezza medioevale eretta come caposaldo preposto al controllo del territorio, con funzioni tattiche e difensive. La possente struttura si eleva sulla rupe della zona a nord del centro urbano di Arquata del Tronto, sede dell'omonimo comune della regione Marche, nel territorio della provincia di Ascoli Piceno.
Tipico esempio di architettura militare dell'Appennino umbro marchigiano del XIII secolo, dall'aspetto compatto, isolata ed austera, è circondata da un verde parco solcato da sentieri e viottoli. La rocca è stata classificata come Monumento nazionale d'Italia dal 1902.
La fortificazione è stata edificata nell'area prossima al confine tra le regioni Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. Eleva le sue solide e robuste costruzioni turrite a sud del monte Vettore, in posizione dominante rispetto al nucleo abitato del paese, posto tra il corso del fiume Tronto e il fosso di Camartina.
Vigila da secoli sul vasto panorama dell'alta valle del Tronto e su molte frazioni che rientrano nell'ambito di competenza dell'Amministrazione comunale; strategicamente sovrasta la Strada Consolare Salaria, spina dorsale del territorio e del collegamento con Roma, snodo stradale che conduce anche alla città dell'Aquila, dopo aver oltrepassato il centro di Amatrice; raggiunge l'Umbria e si addentra anche verso alcune zone dell'entroterra marchigiano; osserva importanti vie d'accesso che conducono al passo del Galluccio, percorsi che attraversano il paese di Montegallo; la strada che, superando i paesi di Capodacqua, Forca Canapine ed il passo di San Pellegrino, porta alla cittadina di Norcia; un sistema sentieristico che da Piedilama giunge a Comunanza, Petritoli ed arriva a Fermo; infine, controlla un lungo tratto dell'alveo del fiume Tronto, corso d'acqua che separa la catena dei Sibillini dai monti della Laga.
La storia e le vicende della Rocca sono strettamente legate e si fondono indissolubilmente con quelle di Arquata. Da sempre territorio di confine e spesso contesa, con aspre battaglie e lotte furibonde, tra le città di Ascoli Piceno e di Norcia. Quest'ultima soprattutto interessata a conquistare uno sbocco sul fiume Tronto e sulla via Salaria.
L'origine di questo insediamento militare ebbe inizio tra l'XI e il XII secolo, epoca in cui fu avviata la costruzione delle opere di fortificazione sul colle. A questo primo momento dell'incastellamento seguì un graduale e progressivo incremento di nuove strutture, elevate nei secoli successivi, al fine di potenziare le funzionalità del presidio. Nel corso del XII secolo, come risulta dal Regestum Farfense, l'abate Berardo III, acquistò il contado e la Rocca di Arquata («Arquatam adquisivit et roccam de Cupulo»). L'imperatore Enrico V di Sassonia, mediante un diploma ne confermò il possesso all'abbazia reatina. Nei primi anni del XIII secolo ebbe inizio il fiorire e lo sviluppo del borgo intorno alla fortezza che si dichiarò libero comune. Dopo la scomparsa di Federico II, la città di Ascoli si preoccupò di consolidare gli avamposti di difesa dislocati ai confini del territorio, minacciati dalle aspirazioni di Manfredi di Sicilia, figlio del re svevo. Per queste ragioni la città marchigiana fu costretta «a fabricar negli Appennini un Forte per guardia dei confini occidentali affin di cautelarsi dalle scorrerie dei norcini».
Nel corso del XIII secolo, furono costruite le mura di cinta e la roccaforte posta a guardia e a difesa della zona montana della Valle del Tronto. Alla realizzazione dell'opera contribuirono concretamente anche Amatrice e Castel Trione. Norcia, confederata con Arquata dal 1251, il 7 agosto 1255, la cedette ad Ascoli insieme ai possedimenti di Accumoli, Sommati, Tufo, Capodacqua, Roccasalli e Terre Summatine. Dal XIII al XVI secolo, la Rocca ed Arquata vivranno alterne vicissitudini fatte di guerre e conflitti con gli altri castelli vicini, specialmente con Norcia, mentre il dominio sulla fortezza sarà rivendicato e conteso da Ascoli. Negli anni 1798 e 1789, nel periodo della dominazione francese, Arquata fu assorbita nel territorio del Dipartimento del Clitunno che aveva per capoluogo la città di Spoleto. La caduta del regime repubblicano nel 1798 condusse al ripristino delle istituzioni del Governo Pontificio.
Durante il periodo della dominazione francese in Italia, la Rocca fu parzialmente ristrutturata, dotata di casematte e piazzole d'artiglieria ed ospitò un permanente presidio militare. Divenne capoluogo di Cantone e terzo fortilizio del Dipartimento del Trasimeno dopo Spoleto e Perugia fino a quando si restaurò il Governo Pontificio e tornò a far parte della provincia di Ascoli Piceno. Nel 1860 Arquata e la sua Rocca furono annesse al Regno d'Italia. La fortezza fu poi abbandonata alla corrosione del tempo e si trasformò in un rudere. Alla fine del XIX secolo ebbero luogo i lavori di restauro che ricomposero la torre più alta, il torrione esagonale e la cortina che collega i due edifici.
Presso l'Archivio della città di Norcia sono conservati antichi documenti che riportano, annoverano e dettagliano le attrezzature, le armi e i pezzi di artiglieria a tiro parabolico di cui era dotata la guarnigione della Rocca di Arquata. In un inventario della fortezza comparivano: «una bombarda longa due pezzi fornita et ferrata con cippe, quatro piastre et zeppe, una spingarda longa ovver ciarabactana de doi pezzi fornita con lu cippo et cavallicto, una bombarda mezza de uno pezo co lu cippo, ferrata con una piastra, et zeppa de ferro et cippo fornita, una bombarda grossa senza cippo con piastre quatro et altre bombarde e bombardelle.»
In un altro documento, redatto al tempo in cui era castellano della Rocca Ambrogio da Montefortino, si trovano descritte numerose armi, mobili contenitori, botti per la conservazione del vino, utensili di uso quotidiano ed altri oggetti custoditi tra le mura della fortezza, tra i quali figuravano: «doimila e octocento aste senza ferri tra i targoni dipinti de l'armi de Papa Pio IV e la bandera de Papa Paulo II.», ed ancora: «l'arca vecchia per fare lo pane, gli arconi granarii da tenere lo grano fra le pallocte del plumbo et scoppitti fra altre botti da octi some et corazze et celate et la robusta catena de ferro per levare il ponte levatoio et mucchi a piramide di palle de pietra per le bombarde e le mille e novecento aste guarnite de ferro et i tremila verrectoni senza aste.»
Alla storia di questa fortezza è legata anche una leggenda. Secondo la tradizione popolare, la Rocca di Arquata fu la residenza della regina Giovanna d'Angiò, negli anni compresi tra il 1420 ed il 1435. Alcuni autori scrivono che la sovrana, forse, avrebbe ricostruito la Rocca che, al tempo, rappresentava l'ultimo avamposto di difesa del Regno di Napoli. La regina, cui si fa riferimento, è probabile che sia Giovanna II d'Angiò, detta Giovanna La pazza. Lo storico ascolano Antonio De Santis cita Giovanna II d'Angiò come colei che ha «lasciato ricordi in Ascoli, anzi ad Arquata ove la Rocca è ancora chiamata col suo nome».
La leggenda, non identifica con certezza di quale delle regine di nome Giovanna, appartenute alla dinastia angioina, si tratti. Il racconto tramanda che la sovrana era solita invitare nella sua stanza, posta sulla torre più alta, i giovani pastori per intrattenersi con loro durante la notte. Il destino e la sorte degli ospiti erano legati all'insindacabile giudizio della donna che, se insoddisfatta, non esitava a far appendere i malcapitati ai torrioni del maniero. Da questa narrazione deriva la popolare definizione "Castello della Regina Giovanna", altro nome con cui localmente è conosciuta e pittorescamente chiamata la Rocca. Sempre la leggenda vuole che il fantasma della sovrana si aggiri, ancora oggi, all'interno della fortezza, «dimostrando di possedere sempre quell'indomabile irrequietezza che contraddistinse la sua umana esistenza».
L'intero complesso fortificato è definito dall'autore ascolano Bernardo Carfagna come una costruzione «equilibrata ed elegante nelle proporzioni». I suoi edifici, implementati nel corso dei secoli, hanno contribuito ad incrementare progressivamente la difendibilità e la sicurezza del luogo. La fortezza è il risultato di vari interventi di restauro ed ampliamento protrattisi dall'inizio della sua elevazione fino al termine del XV secolo, considerati modifiche necessarie per adeguarne e migliorarne lo scopo dello sviluppo funzionale.
La fabbrica della Rocca è stata innalzata utilizzando blocchi di pietra arenaria locale. Sulla sommità delle torri è presente un'opera di aggetto eseguita in laterizio e travertino, idonea alla difesa piombante, rifinita da una merlatura a coda di rondine.
L'impianto che contribuisce a formare l'intero corpo di fabbrica della Rocca è costituito dalla cinta muraria (parzialmente conservata), dagli edifici delle 2 torri e dai resti del terzo torrione, ormai scomparso, del quale affiorano solo le mura di fondazione. È possibile che questo fu l'ultimo manufatto funzionale della fortificazione ad essere costruito. La torre, alta 12 metri, si trovava sul lato sud-ovest. Era stata elevata da una pianta circolare dal diametro di 10 metri su una base a tronco di cono, doppiamente scarpata. Questo elemento difensivo aveva l'interno riempito di terra, nella sua parte più alta vi era il terrazzo che serviva ad alloggiare i pezzi d'artiglieria. Del manufatto rimangono tracce della muratura delle fondazioni, riconsegnate alla luce dai più recenti lavori di restauro.
L'intero sito è circondato dal parco che racchiude gli spazi della fortezza e la rampa di accesso alla Rocca.
Gli stabili sono raccordati e collegati tra loro dalla recinzione in muratura dotata di un cammino di ronda corredato di piombatoi. Nel tessuto murario del recinto perimetrale si evidenzia l'utilizzo di blocchi di pietra di grandi dimensioni, forse reimpiegati e provenienti dalla prima opera difensiva costruita sullo stesso sito in epoca romana.
L'ingresso al recinto della fortezza era protetto dalla presenza di una bertesca lignea sostenuta dai beccatelli litici ancora visibili. L'intera fortificazione, oltre che dalla barriera muraria, era circondata da una palizzata che costituiva il primo elemento di difesa ad ostacolo degli assalitori. Le porte di accesso alla Rocca erano dislocate intorno alle strutture principali del paese, quali: il palazzo nobiliare, la piazza e la chiesa.
Si può ipotizzare che come primo elemento della roccaforte fu innalzato il torrione a pianta esagonale in posizione sud-est, che racchiude al suo interno un ambiente a pianta pentagonale irregolare, protetto dalla copertura aggiunta durante l'ultimo restauro. Alla base delle mura interne sono ancora visibili le aperture degli antichi cunicoli di fuga, ormai murati. La struttura, alta 12 metri, è coronata da caditoie, ossia: aperture sul pavimento di strutture aggregate all'edificio, da cui si gettavano proiettili al nemico, e rifinita con merli alla ghibellina. L'accesso alla torre era garantito dall'apertura laterale di una postierla, mentre l'intero corpo di fabbrica era collegato alla cinta muraria, parzialmente arrivata ai nostri giorni, che si sviluppava verso nord per circa 70 m, eretta con lo scopo di chiudere il lato scoperto del colle. Un percorso collegava il torrione al paese dal lato orientale.
Tra il XIV ed il XV secolo, fu costruito il mastio, esposto a nord, destinato all'avvistamento e alla difesa estrema. L'edificio si eleva da una base quadrata il cui lato misura circa 8 metri e raggiunge un'altezza di 24. Questo è l'elemento più imponente della fortificazione che, con una doppia cinta muraria, si raccorda tuttora al torrione esagonale. Alla sommità di questa torre si trova la stanza quadrangolare, realizzata durante il restauro eseguito nei primi anno del XX secolo, che ha preso il posto della vela in muratura che proteggeva la campana di allarme della fortezza. All'interno del vano del mastio è stata collocata la scala che conduce fino al cammino di ronda della merlatura.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Arquata_del_Tronto