Il palazzo del Governo di Ascoli Piceno, detto anche palazzo San Filippo, è considerato tra gli edifici di maggiori dimensioni della città. La sua architettura occupa l'intero lato est di piazza Fausto Simonetti e ospita al suo interno le sedi della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale. La denominazione di palazzo San Filippo è attribuita a questo stabile perché, una porzione dello stesso, fu un convento edificato, nel XVII secolo, appartenuto alla congregazione dei Filippini.
I lavori per la costruzione del fabbricato furono avviati seguendo il progetto cui contribuirono vari architetti, Antonio Rodilossi ricorda Giuseppe Giosafatti e Celso Saccoccia, Stefano Papetti menziona Pier Sante Cicala. Più di recente Cristiano Marchegiani ha riferito all'architetto ripano Luzio Bonomi, di formazione romana, sia il progetto di ampliamento della prima chiesa filippina di metà Seicento sia la progettazione della facciata su via Cino del Duca (di cui Giosafatti eseguì membrature e mostre in travertino delle aperture, arricchendo con ornati le finestre, arbitrariamente rispetto al progetto). Quest'ultimo intervento nasceva con lo scopo di riformare l'immagine del fabbricato, che vedeva accostate varie case, malridotte e differenti tra loro. Il cantiere della costruzione fu dunque aperto intorno ai primi anni del Settecento e i lavori si protrassero fino al 1797.
In realtà, a questa data, l'intera opera era stata solo parzialmente realizzata rispetto agli interventi previsti dalla progettazione. Erano compiuti una parte del prospetto esterno e poco più della metà degli interni. La situazione estetica non poteva dirsi sanata poiché l'accorpamento dei vecchi caseggiati si presentava come un coacervo di mura differenti tra loro e con tetti di diversa altezza. Tentando di porre ancora rimedio all'irregolarità architettonica l'ingegner Marco Massimi, direttore di quest'altra fase di costruzione, alzò le mura vecchie fino al livello del secondo piano, ma a questo punto la cittadinanza ascolana chiese l'intervento della Commissione di Pubblico Ornato per evitare che tanta irregolarità estetica divenisse definitiva.
La commissione si pronunciò ordinando la sospensione dei lavori e richiedendo la creazione di un progetto per un nuovo prospetto principale che nascondesse e cancellasse tutte le anomalie e le diseguaglianze. Per consentire l'elevazione della facciata si rese necessario creare un nuovo spazio e per questa ragione fu ordinata, nell'anno 1902, la demolizione della piccola chiesa barocca di San Filippo Neri che sorgeva attigua al cenobio. L'incarico del disegno dell'ultimo progetto fu affidato all'ingegnere ascolano Ugo Cantalamessa e all'architetto jesino Umberto Pierpaoli che idearono un palazzo maestoso seguendo e conservando le linee architettoniche e decorative di quanto ancora restava della preesistente struttura.
I lavori furono ultimati nei primissimi anni del Novecento e conferirono alla costruzione l'aspetto attuale. Nel corso del tempo, il palazzo è stato adibito a diverse destinazioni d'uso. Nel 1862 ospitava la Corte d'Assise che in data 12 febbraio dello stesso anno si pronunciò sulle accuse di "attività antigovernativa" di cui furono incolpati i parroci della montagna ascolana. In seguito divenne una caserma, poi un convitto femminile fino a quando non accolse la sede del Governo che qui si trasferiva dalla precedente ubicazione di palazzo dei Capitani che sorge nella vicina piazza del Popolo.
L'intero edificio, costruito in blocchi squadrati di travertino, si compone di due porzioni distinte. La parte posteriore del palazzo è costituita dall'ex convento appartenuto alla congregazione dei Filippini. La porzione anteriore, la facciata principale, aperta da due ingressi e da quattro ordini di finestre, il fastigio e il gruppo scultorio che la conclude furono disegnati da Umberto Pierpaoli e da Ugo Cantalamessa, innalzati negli anni compresi tra il 1902 e il 1904. L'importante gruppo decorativo posto alla sommità centrale del prospetto principale fu scalpellato da Romolo del Gobbo. Si compone di due grandi figure simboliche riferibili alle rappresentazioni dei fiumi Tronto e Castellano che attraversano la città di Ascoli. All'interno del fabbricato ci sono due importanti saloni. Al primo piano si apre quello del consiglio provinciale, decorato da Domenico Ferri in cui l'artista ha raffigurato sulle pareti e sulla volta scene che illustrano la fertilità della terra picena, scorci di attività industriali e il corso della vicissitudini amministrative. Al secondo piano il salone delle feste della prefettura ascolana, un piacevole scrigno di pittura.
All'interno del palazzo del Governo spicca per la sua preziosa bellezza il salone delle feste, detto anche "salone di rappresentanza" o "salone de Carolis", che si apre al secondo piano del fabbricato, e appartiene alle stanze dell'alloggio prefettizio. Si mostra solenne in uno spazio modesto di m. 13,50 x 8,50. La sua decorazione fu affidata al multiforme ingegno del marchigiano Adolfo De Carolis che, dipingendolo, eseguì quello che oggi è considerato il suo capolavoro cromatico. L'artista preparò i bozzetti delle pitture con studi a tempera su cartone, ora conservati presso la pinacoteca civica della città, e avviò l'attività decorativa nell'anno 1907 concludendo il suo lavoro nel 1908. Per le pennellate che illustrano i temi riguardanti il territorio piceno utilizzò, sul muro con finitura a calce, la tecnica pittorica dei colori a tempera disciolti nella cascina con ritocchi a olio. Questa metodologia, un po' insolita, permise a de Carolis di colorare la sua opera con cromie di maggiore vivacità e luminosità.
Dipinse, sulla porzione alta delle pareti, un ciclo ininterrotto di scene allegoriche di gusto michelangiolesco pervaso dalla semplice linearità dello stile liberty di cui l'artista fu chiaro esponente. Nel suo racconto alternò temi che ben riassumono le caratteristiche peculiari della laboriosità degli abitanti del territorio, spaziando dalla rappresentazione delle attività legate al mare a quelle legate alle montagne della catena dei Sibillini. L'intera decorazione istoriata è suddivisa in riquadri, distribuiti a gruppi di tre per ogni lato più corto e di cinque nei lati più lunghi.
Tutti i dipinti sono accomunati dai fondi di colore azzurro che virano al turchino, intercalati da figure mitologiche di dee e di muse, da lesene, nicchie, edicole e cornici ottenute solo dalla pittura. Questo ciclo pittorico, per il de Carolis, fu la sintesi espressiva con cui rappresentò le tradizioni della sua terra affiancandole al mondo greco dei miti e ai popoli dediti alla navigazione, come i Liburni, che fondarono Truentum. Lo spazio dei lati più corti del salone fu occupato dall'artista per le rappresentazioni delle scene di pastorizia e di vita nei campi non trascurando di narrare, nella parete opposta, le attività del mondo della pesca.
Nei lati lunghi esteriorizzò la sua raffinata cultura e illustrò i miti di Dioniso e Apollo citando le Georgiche di Virgilio, le Metamorfosi di Ovidio e la Teogonia di Esiodo, tutte letture che lo avevano appassionato.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_del_Governo_(Ascoli_Piceno)