Fondata dalla tribù sannitica degli Irpini, Abellinum si formò con il nucleo originario sulla collina della Civita, dove sono stati trovati numerosi reperti archeologici, in territorio dell'odierna Atripalda a circa 4 km dal centro di Avellino. Testimonianze archeologiche attestano la presenza sulla Civita di un importante centro pre-romano, presumibilmente di origine etrusco-campana e di lingua osca, risalente almeno al IV secolo. Secondo ricerche, suffragate da Edward Togo Salmon, l'antica città era al centro del territorio dei Sabatini, popolo sabello documentato da Tito Livio. Non è da escludere che tale centro avesse il nome di Velecha, attestato da numerose monete attribuite all'area campana. Fu conquistata dai Romani nel 293 a.C., che la sottrassero al dominio degli Irpini durante le Guerre sannitiche che si verificarono tra il 343 a.C. e il 292 a.C. Sotto il dominio di Roma la città cambiò più volte denominazione (nell'ordine: Veneria, Livia, Augusta, Alexandriana e Abellinatium). La posizione geografica ha agevolato la nascita dei primi insediamenti: sin dall'antichità la valle del Sabato ha costituito una via naturale tra l'Irpinia e il Sannio. Nell'89 a.C. Silla occupò Pompei, Ercolano, Stabia, Eclano, Abella e Abellinum.
Abellinum non costituiva ancora un vero e proprio centro urbano. Furono le truppe di Silla ad avviare l'edificazione di una vera città. Il cardo e il decumano, tipici elementi urbanistici romani, la suddividevano in quattro quadrati, ognuno dei quali conduceva alle quattro porte esterne. La città romana ha avuto un importante sviluppo in età augustea, grazie alla realizzazione dell'Acquedotto romano del Serino che dalle sorgenti di Serino arrivava a Bacoli, ove era situato il grande serbatoio destinato all'approvvigionamento della flotta romana (denominato Piscina mirabilis), dopo aver servito le principali città della Campania. Particolare importanza assunse Abellinum in età cristiana, nel corso della quale emerge la figura del grande vescovo Sabino, vissuto probabilmente fra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Il centro è documentato fino alla metà del VI secolo, grazie all'importante patrimonio epigrafico rinvenuto negli anni ottanta-novanta nella basilica paleocristiana di Capo La Torre (centro storico dell'odierna Atripalda). Probabilmente l'antico centro sulla collina della Civita cessò di esistere a seguito delle guerre gotiche e della successiva occupazione bizantina. La popolazione si disperse sulle alture nei dintorni, dando origine a vari piccoli nuovi centri, fra cui, in epoca ancora incerta, la nuova Avellino, sulla collina della Terra, a 4 km in direzione ovest dalla Civita.
Dopo che i Longobardi determinarono la fuga di parte (tesi minoritaria) o di tutti (tesi prevalente) gli abitanti di Abellinum, questi si dispersero sul territorio circostante. Parte di essi cominciò ad aggregarsi sulla collina Selleczanum, nota come Terra, originando la nuova città di Avellino su uno sperone di tufo. Per secoli "intra civitatem" ed "intra moenia" coincisero, visto che la città di Avellino, all'epoca un piccolo borgo, era ricompresa entro il ristretto spazio in cima alla collina tufacea. Ciò perché invasioni, terremoti e pestilenze frenarono notevolmente la crescita demografica. Avellino è stata fino all'849 parte del Principato di Benevento, per diventare dopo la spartizione parte del Principato di Salerno, pur restando legata a Benevento sotto il profilo ecclesiastico, essendo la diocesi di Avellino tuttora suffraganea dell'arcidiocesi di Benevento.
L'arrivo dei Normanni pose Avellino al centro di importanti avvenimenti: nel 1137 Innocenzo II e Lotario III nominarono Duca di Puglia Rainulfo di Alife, il conte di Avellino, per il contributo dato per fermare i primi tentativi di conquista del neoeletto (1130) Re di Sicilia Ruggero II. Due anni dopo, però, in seguito all'improvvisa morte di Rainulfo, con la città rimasta senza l'appoggio di Papa e Imperatore, Ruggero II riunificò il Regno di Sicilia, annettendovi il Ducato di Puglia e Calabria e il Principato di Capua. Nei decenni successivi, la città passò al conte Riccardo dell'Aquila, dunque ai Parisio, ai Sanseverino, a Simone di Montfort, ai del Balzo, ai Filangieri de Candida.
Nel 1512 divenne contessa di Avellino Maria de Cardona, che è la più grande figura femminile nella storia della città. Sotto la sua guida Avellino divenne uno dei poli culturali più importanti del regno e riuscì a trarre quanti più vantaggi possibili dalla strategica posizione della città nei collegamenti tra la Puglia e Napoli e tra Benevento e Salerno, riuscendo a far tornare Avellino un crocevia dei commerci fiorente da dopo la caduta della città romana. Per far sviluppare l'economia cittadina ed i propri commerci, la contessa, con l'aiuto di suo marito Francesco d'Este e con il beneplacito di sua maestà Carlo V, istituì il giorno di mercato franco, ottenne il permesso di realizzare una fiera annuale, costruì due ferriere nella contea e fece avviare un programma di riordino edilizio ed amministrativo, infatti venne formato nel 1548 un precursore di un consiglio comunale (detto ordine dei deputati) e comparì per la prima volta la carica di sindaco; queste riforme prepararono l'avvento poi della dinastia dei Caracciolo verso la fine del secolo. Il risultato più evidente della guida lungimirante della contessa de Cardona è il boom demografico cui la città andò incontro, che passò dai 1000 abitanti nel 1532 ai 1600 abitanti nel 1561, due anni prima della sua morte.
Il feudo di Avellino venne acquistato nel 1581 da Marino Caracciolo, II duca di Atripalda. Tra le condizioni poste dall'acquirente figurava anche il divieto di residenza di ufficiali regi nel feudo.
La città rimase feudo dei Caracciolo dal 1581 al 1806, allorquando la Regia Udienza della provincia del Principato Ultra ebbe sede a Montefusco. In tale periodo Avellino conobbe una lunga stagione di crescita demografica, di espansione urbanistica e di progresso economico. Tra il 1581 ed il 1591 il feudatario Marino Caracciolo introdusse in città la fabbricazione dei tessuti di lana. I suoi successori avrebbero ampliato tale attività economica ad aree limitrofe come Sanseverino, Atripalda e Serino. Tali manifatture sarebbero rimaste un elemento centrale nella vita economica del feudo sino alla fine del XVIII secolo. Il commercio trovò una sede monumentale nella Dogana dei grani. Durante il primo secolo della loro Signoria, i Caracciolo ampliarono il castello fino a farlo diventare un punto di riferimento per poeti e viaggiatori.
Ad ogni modo, ancora nel 1622 Avellino costituiva un centro di modeste dimensioni con i suoi 516 fuochi, superata da diversi altri borghi della provincia (a quel tempo Ariano, la cittadina più popolosa del Principato Ultra, contava 1899 fuochi). La peste del 1656 costituì poi una battuta d'arresto, sia pur temporanea, allo sviluppo cittadino. La terribile epidemia descritta dal Manzoni con crudo realismo nel romanzo dei Promessi Sposi, aveva già colpito il territorio milanese solo qualche decennio prima, dilagava ora in tutto il Mezzogiorno ed in particolare nel Napoletano: a metà del Seicento Avellino aveva perso circa tre quarti della sua popolazione, assumendo un aspetto di cupa desolazione.
Tale epidemia, che si diffuse in maniera violenta e repentina anche nell'avellinese, fu dettagliatamente descritta nella "Historia del Contagio di Avellino" da Michele Giustiniani (1612-1679). Le ipotesi dell'abate sulle origini e le cause della pestilenza furono diverse e attribuite in primo luogo alla possibile distribuzione di pesce putrefatto proveniente dal Mar Baltico; la seconda ipotesi risale alla diffusione di veleno in polvere sparso in vari luoghi della città da presunti nemici dei signori spagnoli. Altre ipotesi si basavano sulla possibilità che lane e panni provenienti dalla Sardegna, trasportati da una nave di soldati (che già nel 1652 avevano infettato l'isola), avessero fatto scaturire velocemente il contagio.
Fu soltanto nel Settecento, infatti, che la città cominciò ad assumere l'odierna conformazione urbana: i principi Caracciolo abbandonarono il castello, si trasferirono in una nuova residenza, il palazzo Caracciolo, sede dell'amministrazione provinciale, e avviarono i lavori per la creazione del corso principale della città.
Con l'abolizione del feudalesimo, nel 1806 il capoluogo di provincia del Principato viene portato dalla vicina Montefusco ad Avellino. La città fu una delle sedi dei moti del 1820-1821. La diffusione, nel marzo 1820, anche nel Regno di Napoli, della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente ad esaltare gli ambienti carbonari e massonici. A Napoli, la cospirazione (la quale non si pose mai l'intento di rovesciare il re, ma solo di chiedere la costituzione) prese subito vigore e coinvolse anche alcuni ufficiali superiori, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe, Michele Morelli, capo della sezione della carboneria di Nola cui si affiancarono Giuseppe Silvati, sottotenente, e Luigi Minichini, prete nolano dalle idee anarcoidi. La notte tra il 1º e il 2 luglio 1820, la notte di San Teobaldo, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino dove lo attendeva il generale Guglielmo Pepe.
Il 2 luglio, a Monteforte, fu accolto trionfalmente. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino. Accolti dalle autorità cittadine, rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, proclamarono la costituzione sul modello spagnolo. Dopodiché gli insorti passarono i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, capo di stato maggiore del generale Pepe. Questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che tornò a Nola per incitare ad una rivolta popolare. Mentre la rivolta si espandeva a Napoli, dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari, il 6 luglio, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione. Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, decisero l'intervento armato contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione. Si cercò di resistere, ma il 7 marzo 1821 i costituzionalisti di Napoli comandati da Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini, furono sconfitti a Rieti dalle truppe austriache. Il 24 marzo gli austriaci entrarono a Napoli senza incontrare resistenza e chiusero il neonato parlamento.
Dopo l'Unificazione della Penisola lo Stato italiano tagliò fuori la città dalle principali vie di comunicazione, impedendone lo sviluppo. In compenso, "le prime giunte post-unitarie, guidate da Capuano, Villani e, successivamente, De Feo, si impegnarono a trasformare la città, migliorandone la viabilità, l’igiene, l’illuminazione; questo programma si tradusse in una serie di opere pubbliche". Nel 1888 ad Avellino arrivò l'energia elettrica.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Avellino