L'Etna o Mongibello è un vulcano siciliano originatosi nel Quaternario e rappresenta il vulcano attivo terrestre più alto della placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso della storia hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante, arrivando più volte a minacciare le popolazioni che nei millenni si sono insediate intorno a esso.
Il 21 giugno 2013 la XXXVII sessione del Comitato UNESCO, ha inserito il Monte Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità.
L'Etna sorge sulla costa orientale della Sicilia, a sud-ovest dei Monti Peloritani e a sud-est dei Monti Nebrodi (Appennino Siculo), entro il territorio della città metropolitana di Catania ed è attraversato dal 15º meridiano est, che da esso prende il nome. Occupa una superficie di 1265 km², con un diametro di oltre 40 chilometri e un perimetro di base di circa 135 km
Il vulcano è classificato tra quelli definiti a scudo a cui è affiancato uno stratovulcano; la sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento. Nel 1900 la sua altezza raggiungeva i 3.274 m. s.l.m. e nel 1950 i 3.326 m. Nel 1978 era stata raggiunta la quota di 3.345 m e nel 1981 quella di 3.350 m. Dalla metà degli anni '80 l'altezza è progressivamente diminuita: 3.340 m nel 1986, 3.329 m nel 1999. Le più recenti misure, effettuate a luglio 2018 da due squadre indipendenti con GPS ad altissima risoluzione, hanno rivelato che l'altezza attuale dell'Etna è di 3.326 m.
La sua superficie è caratterizzata da una ricca varietà di ambienti che alterna paesaggi urbani, folti boschi che conservano diverse specie botaniche endemiche ad aree desolate ricoperte da roccia magmatica e periodicamente soggette a innevamento alle maggiori quote.
L'Etna ha una struttura piuttosto complessa a causa della formazione, nel tempo, di numerosi edifici vulcanici che tuttavia in molti casi sono in seguito collassati e sono stati sostituiti, affiancati o coperti interamente da nuovi centri eruttivi. Sono riconoscibili nella "fase moderna" del vulcano almeno 300 tra coni e fratture eruttive. La zona risulta anche a moderato rischio sismico per effetto anche del tremore del vulcano.
Ambiente
Il territorio del vulcano presenta aspetti molto differenti per morfologia e tipologia in funzione dell'altitudine. Coltivato fino ai 1000 metri s.l.m. e fortemente urbanizzato sui versanti est e sud si presenta selvaggio e brullo sul lato occidentale dove predominano le "sciare", specie nel versante di Bronte. Poco urbanizzato, ma di aspetto più dolce, il versante nord con il predominio dei boschi al di sopra di Linguaglossa. Il versante est è dominato dall'aspetto inquietante della Valle del Bove sui margini della quale si inerpicano fitti boschi.
Il circondario ha caratteristiche che ne rendono le terre ottime per produzioni agricole, grazie alla particolare fertilità dei detriti vulcanici. La zona abitata e coltivata giunge quasi ai 1000 m s.l.m. mentre le zone boschive arrivano fino ai 1500 metri. Ampie parti delle sue pendici sono comprese nell'omonimo parco naturale.
Il versante sud del vulcano è percorso dalla strada provinciale SP92 che si arrampica sulla montagna fino a quasi 2.000 m di quota, generando circa 20 km di tornanti. L'infrastruttura non permette di raggiungere la cima in auto ma, raggiunta la stazione turistica attorno alla Funivia dell'Etna, continua poi il suo percorso per altri 20 km circa in direzione di Zafferana Etnea.
In inverno è presente la neve che, alle quote più elevate, resiste fin quasi all'estate. Le aree turistiche da dove si può partire per le escursioni in cima al vulcano sono raggiungibili agevolmente dai versanti sud e nord-est in cui si trovano anche le due stazioni sciistiche del vulcano (Etna sud e Etna nord). Da quella sud, dallo storico Rifugio Sapienza nel territorio di Nicolosi è possibile ammirare il golfo di Catania e la valle del Simeto. Dalle piste di Piano Provenzana a nord, in territorio di Linguaglossa, sono visibili Taormina e le coste della Calabria.
Clima
Nelle parti più alte del vulcano il clima è di tipo alpino, le estati sono fredde e secche con una temperatura media di 6 °C, gli inverni sono rigidissimi e nevosi con una temperatura media di -12 ºC.
Storia
I primi riferimenti storici all'attività eruttiva dell'Etna si trovano negli scritti di Tucidide e Diodoro Siculo e del poeta Pindaro; altri riferimenti sono per lo più mitologici. Secondo Diodoro Siculo circa 3.000 anni fa, in seguito a una fase di attività violentemente esplosive (probabilmente sub-pliniane) dell'Etna, gli abitanti del tempo, i Sicani, si spostarono verso le parti occidentali dell'isola.
I primi studiosi a intuire che il vulcano fosse in realtà costituito da un grande numero di strutture più piccole e variamente sovrapposte o affiancate furono il Lyell, Sartorius von Waltershausen e il Gemmellaro; questi riconobbero nell'Etna almeno due principali coni eruttivi, il più recente Mongibello e il più antico Trifoglietto (nell'area della Valle del Bove).. Tale impostazione non venne rivista fino agli anni sessanta quando il belga J.Klerkx (sotto la guida di Alfred Rittmann) individuò nella predetta valle una successione di altri prodotti eruttivi precedenti al Mongibello. Studi successivi hanno rivelato una maggiore complessità della struttura che risulta costituita da numerosissimi centri eruttivi con caratteristiche tipologiche del tutto differenti.
L'attività maggioritaria in tempi storici è stata connessa a quella del sistema centrale, che in tempi più recenti ha interessato altre nuove bocche sommitali: il Cratere di Nord-Est, formatosi nel 1911, la Voragine nata all'interno del Cratere centrale nel 1945 e la Bocca Nuova originatasi sempre al suo interno, nel 1968.
Nel 1971 si è formato il nuovo Cratere di Sud-Est. Infine, nel 2007, è nato il Nuovo Cratere di Sud-Est che in seguito all'intensa e frequente attività stromboliana e alle fontane di lava, tra il 2011 e il 2013 ha assunto dimensioni imponenti raggiungendo l'altezza dei crateri precedenti.
Etimologia del nome
L'etimologia del nome Etna è da sempre dibattuta. Innanzitutto sembrerebbe derivare dal toponimo A?t?a (Aitna), nome che fu attribuito alle città di Katane e Inessa e che deriverebbe dal verbo greco a??? (aítho), cioè "bruciare” . L'Etna era infatti conosciuto dai greci come ??t?? (Aítne) e dai romani come Aetna. Non è comunque esclusa la possibile origine indigena del termine, attribuendolo al sicano *aith-na (“ardente”), comunque derivante dalla radice protoindoeuropea *ai-dh (“bruciare; fuoco”).
Gli scritti in lingua araba si riferivano a esso come Jabal al-burkan (montagna del vulcano) o Jabal A?ma ?iqilliya ("montagna somma della Sicilia") o Jabal an-Nar ("montagna di fuoco"); questo nome fu più tardi mutato in Mons Gibel, letteralmente "monte Gibel" (dal latino mons "monte" e dall'arabo jabal (???) "monte"), da cui il siciliano Mungibbe??u, reso poi in italiano come Mongibello (o anche Montebello).
Il nome Mungibe??u è rimasto in uso comune per molto tempo e qualcuno continua a chiamare l'Etna con tale appellativo. Secondo un'altra teoria il nome Mungibe??u derivebbe dal latino Mulciber uno degli epiteti con cui veniva chiamato dai latini il dio Vulcano[senza fonte]. In questo contesto il termine deriva dal verbo mulceo (“placare, calmare, mitigare”) e il suffisso strumentale -ber. Le popolazioni locali per indicare l'Etna vi si riferiscono anche semplicemente con il siciliano “a muntagna” semplicemente nel suo significato di montagna per antonomasia. In tempi recenti il nome Mongibello è rimasto a indicare la sola parte sommitale dell'Etna, ovvero l'area dei due crateri centrali e dei crateri sud-est e nord-est.
Genesi del vulcano
L'Etna si è formato nel corso delle ere con un processo di costruzione e distruzione incominciato intorno a 570 000 anni fa, nel periodo Quaternario, durante il Pleistocene medio. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo nel punto di contatto tra la zolla euro-asiatica a nord e la zolla africana a sud, corrispondente alla catena dei monti Peloritani a settentrione e all'altopiano Ibleo a meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine di lava basaltica fluidissima con la nascita dei primi coni vulcanici, al centro del golfo primordiale detto pre-etneo, nel periodo del Pleistocene medio-superiore 700 000 anni fa.
Di tali attività restano gli splendidi affioramenti della “Riviera dei Ciclopi” con i loro prismi basaltici (l'isola Lachea e i faraglioni di Aci Trezza), le brecce vulcaniche vetrose (ialoclastiti) e le lave a pillow della rupe di Aci Castello, ma anche i basalti colonnari affioranti nel terrazzo fluviale del Simeto, esteso nei versanti sud occidentale e sud orientale da Adrano e Paternò fino alla costa Ionica. Il sollevamento tettonico dell'area, unitamente all'accumulo dei prodotti eruttivi, determinò l'emersione della regione e la formazione di un edificio vulcanico a scudo che è quello che costituisce il basamento dell'attuale.
Tra i 350 000 e i 200 000 anni fa, da un'attività di tipo fessurale, spesso anche subacquea, scaturirono lave estremamente fluide che diedero luogo alla formazione di bancate laviche tabulari di elevato spessore (fino a 50 m), i cui resti sono gli imponenti terrazzamenti visibili nell'area sud occidentale dell'edificio vulcanico a quote comprese fra i 300 e i 600 m s.l.m..
Gli studi sulla composizione di queste lave hanno messo in evidenza che questi prodotti vulcanici (sia subacquei sia subaerei) rappresentano le cosiddette vulcaniti tholeiitiche basali, cioè magmi simili, anche se con delle differenze, a quelli che vengono prodotti in aree del mantello terrestre caratterizzate da alti gradi di fusione parziale di grande attività distensive, tipiche delle dorsali e delle isole oceaniche. Le tholeiiti costituiscono una percentuale assai limitata dei prodotti dell'area etnea e sono state eruttate in più riprese a partire da circa 500.000 anni fa, questa è infatti l'età dei più antichi prodotti etnei. Allo stesso periodo geologico si attribuisce anche la formazione del notevole Neck di Motta Sant'Anastasia, una rupe isolata di lave colonnari su cui è edificato il centro storico della cittadina etnea.
Si ritiene che tra 200 000 e 110 000 anni fa ci fu uno spostamento degli assi eruttivi verso nord e verso ovest con un contemporaneo mutamento nell'attività di risalita e nei meccanismi di effusione, accompagnati da una variazione nella composizione chimica dei magmi e nel tipo di attività. La nuova fase eruttiva vide come protagonisti coni subaerei che emettevano lave di tipo "alcalino". L'attività si concentrò lungo la costa ionica in corrispondenza del sistema di faglie dirette denominato delle Timpe. I prodotti alcalini costituiscono la gran mole del vulcano etneo e vengono eruttati ancora oggi. La distinzione tra i termini viene effettuata mediante i rapporti tra le percentuali di alcuni ossidi e in particolare SiO2 e K2O+Na2O ritenuti indicativi delle condizioni di genesi dei magmi stessi.
Durante il Tarantiano, 110.000-60.000 anni fa, l'attività eruttiva si sposta dalla zona Val Calanna-Moscarello verso l'area adesso occupata dalla depressione della Valle del Bove. Da un'attività di tipo fissurale, come quella che ha caratterizzato le prime due fasi, si passerà gradualmente a un'attività di tipo centrale caratterizzata sia da eruzioni effusive che esplosive. Questo tipo di attività porterà alla formazione di diversi centri eruttivi. Il principale dei coni, che viene denominato dagli studiosi Monte Calanna, è inglobato al di sotto del vulcano. Cessata l'attività di questo, circa ottantamila anni fa entrò in eruzione un nuovo complesso di coni vulcanici, detto Trifoglietto, più a ovest del precedente, che a dispetto del grazioso nome fu un vulcano estremamente pericoloso, di tipo esplosivo caratterizzato da eruzioni pliniane polifasiche, come ad esempio il Vesuvio e Vulcano delle isole Eolie, che emetteva lave di tipo molto viscoso. L'attività vulcanica si spostò poi ancor più a ovest con la nascita di un ulteriore bocca vulcanica a cui vien dato il nome di Trifoglietto II (dai 70 ai 55.000 anni fa). Il collasso di questo edificio ha dato origine all'immensa caldera della già citata Valle del Bove, profonda circa mille metri e larga cinque chilometri, lasciando esposti sulle pareti di questa gli affioramenti di rocce piroclastiche che evidenziano lo stile particolarmente esplosivo della sua attività. L'esplosività è probabilmente collegata alle grandi quantità di acqua nell'edificio che vaporizzandosi frammentava il magma.
Intorno a 55.000 anni fa circa si verifica un ulteriore spostamento dell'attività eruttiva verso nord-ovest dopo la fine dell'attività dei centri della Valle del Bove. È la fase detta dello stratovulcano. Tale spostamento porterà alla formazione del più grosso centro eruttivo che costituisce la struttura principale del Monte Etna: il "vulcano Ellittico". Il nome Ellittico deriva dalla forma, appunto di ellisse (2 km asse maggiore e 1 km asse minore), della caldera che ha segnato la fine della sua attività. I suoi prodotti, sia colate laviche sia piroclastiti, costruirono un edificio di dimensioni notevoli che, prima del collasso calderico avvenuto 15 000 anni fa, doveva probabilmente raggiungere i 4000 metri di altezza. Le eruzioni laterali dell'Ellittico hanno prodotto la graduale espansione laterale dell'edificio vulcanico attraverso la messa in posto di colate laviche che hanno causato un radicale cambiamento dell'assetto del reticolo idrografico principalmente nel settore nord e nord-orientale. In quest'area le colate laviche colmarono antiche paleovallate come quella del fiume Alcantara generando numerosi fenomeni di sbarramento lavico del paleoalveo del fiume Simeto. L'intensa e continua attività effusiva degli ultimi 15000 anni riempirà del tutto la caldera del vulcano Ellittico coprendo in gran parte i suoi versanti e formando il nuovo cono craterico sommitale. Tale attività effusiva, originata sia dalle bocche sommitali sia da apparati eruttivi parassiti, porterà alla formazione dell'edificio vulcanico che forma il complesso in attività: il Mongibello.
Nel corso del tempo si sono avute fasi di stanca e fasi di attività eruttiva, con un collasso del Mongibello intorno a otto-novemila anni fa; nei prodotti del Mongibello è stata osservata una generale transizione da termini più antichi e acidi (relativamente arricchiti in SiO2) a più recenti e basici (cioè relativamente povere di SiO2) e porfirici (ricchi di minerali cristallizzati in profondità prima dell'emissione), le lave sono quindi ritornate a essere di tipo fluido basaltico e si sono formati altri coni di cui alcuni molto recenti.
Attività vulcanica recente
L'Etna è un vulcano attivo. A differenza dello Stromboli, che è in perenne attività, e del Vesuvio, che alterna periodi di quiescenza a periodi di attività parossistica, esso appare sempre sovrastato da un pennacchio di fumo. A periodi abbastanza ravvicinati entra in eruzione incominciando in genere con un periodo di degassamento ed emissione di sabbia vulcanica a cui fa seguito un'emissione di lava abbastanza fluida all'origine. Talvolta vi sono dei periodi di attività stromboliana che attirano folle di visitatori d'ogni parte del mondo per via della loro spettacolarità.
Nonostante i vulcani eruttino prevalentemente dalla loro cima, da uno o più crateri sommitali, l'Etna si caratterizza per essere uno dei pochi vulcani al mondo in cui è stato possibile osservare a memoria d'uomo la nascita di nuove bocche eruttive sommitali, formatesi prevalentemente nel secolo scorso. Il vulcano attuale era costituito fino agli anni 2000 essenzialmente da 4 crateri sommitali attivi: il cratere centrale o Voragine, il cratere subterminale di Nord-est formatosi nel 1911 (NEC), la Bocca Nuova del 1968 (BN) e il cratere subterminale di Sud-est (del 1971) (SEC).
Tuttavia, solo nell'ultimo decennio, per la prima volta, i vulcanologi sono riusciti ad applicare un moderno approccio multidisciplinare per monitorare la nascita di un nuovo cratere sommitale e cercare di comprendere cosa renda tanto instabile un vulcano come l'Etna in corrispondenza delle bocche sommitali: alla fine del 2011 dove prima c'era un cratere a pozzo (o pit crater) alla base orientale del SEC, si è infatti sviluppato quello che ormai gli studiosi hanno ribattezzato Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC). L'edificio vulcanico del Nuovo Cratere di Sud-Est, formatosi lungo una frattura orientata lungo una direzione Nord-Ovest Sud-Est, è successivamente cresciuto con grande rapidità sull'orlo di una parete a strapiombo della Valle del Bove, alta circa mille metri, presentando quindi una relativa instabilità che caratterizza tutto il fianco nord-orientale del vulcano e mantiene alta l'attenzione degli scienziati.
Questi hanno recentemente stabilito che il vulcano subisce ciclicamente nel tempo dei fenomeni di inflazione (rigonfiamento), seguiti da deflazione (sgonfiamento) che possono durare per un periodi di alcuni mesi fino a qualche anno. Come riferito da Marco Neri, coordinatore del lavoro di studi e primo ricercatore presso l'Osservatorio Etneo dell'INGV (INGV-OE), durante un recente periodo di inflazione, «il fianco nord-orientale dell'Etna si è deformato, seguendo traiettorie di “traslazione” semi-circolari: la porzione sommitale si è spostata verso Nord-Est, la parte intermedia verso Est e infine la parte distale, in prossimità del Mare Ionio, è traslata verso Sud-Est. Lo spostamento verso Nord-Est della parte sommitale del vulcano ha favorito l'apertura di numerose fessure eruttive orientate in senso NO-SE (Nord-Ovest Sud-Est) e la conseguente nascita del Nuovo Cratere di Sud-Est». La traslazione verso lo Ionio è confermata anche dagli studi condotti dalla Open University.
Durante l'ultima campagna di misurazioni con GPS effettuata dall'INGV nel gennaio del 2014 si è constatato che il punto più alto del nuovo cono si era assestato a una quota di 3.290 m s.l.m. facendone di fatto una delle bocche sommitali più alte del grande vulcano.
L'Etna presenta inoltre diverse piccole bocche laterali sparse a varie altitudini, dette crateri avventizi, prodotte dalle varie eruzioni laterali nel tempo. Esistono poi dei centri eruttivi eccentrici caratterizzati dalla non condivisione del condotto vulcanico con il vulcano principale, ma del solo bacino magmatico, quali i monti Rossi e il monte Mojo.
Eruzioni notevoli in periodo storico
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Eruzioni dell'Etna.
In genere le eruzioni dell'Etna pur fortemente distruttive delle cose, non lo sono per le persone se si eccettuano i casi fortuiti come quello di Bronte del 25 novembre del 1843 in cui a causa di una falda freatica la lava esplose colpendo una settantina di persone delle quali persero la vita almeno 36 o di palese imprudenza come nel 1979 quando un'improvvisa pioggia di massi uccise nove turisti, avventuratisi fino al cratere apparentemente spento, e ne ferì un'altra decina. Le fonti della memoria storica ricordano centinaia di eruzioni di cui alcune fortemente distruttive.
L'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Le colate ebbero origine a quota 2550 e presentarono la caratteristica particolare di ingrottarsi ed emergere poi molto più a valle fino alla quota di 975 m s.l.m., al di sopra comunque dei centri abitati. Lo svuotamento dei condotti di ingrottamento originò tutta una serie di grotte laviche, visitabili, come la Grotta del Gelo e la Grotta dei Lamponi.
Nel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì un'enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che sono denominati Monti Rossi, a Nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.
Nel 1892 un'altra eruzione portò alla formazione, a circa 1800 m di quota, del complesso dei Monti Silvestri.
Nel 1928, ai primi di novembre, ebbe inizio l'eruzione più distruttiva del XX secolo. Essa portò, in pochi giorni, alla distruzione della cittadina di Mascali. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant'Alfio e Nunziata.
L'eruzione del 5 aprile del 1971 ebbe inizio a quota 3050 da una voragine dalla quale l'emissione di prodotti piroclastici formò il cono sub-terminale di Sud-est. Vennero distrutti l'Osservatorio Vulcanologico e la funivia dell'Etna. Ai primi di maggio si aprì una lunga fenditura a quota 1800 m s.l.m. che raggiunse Fornazzo e minacciò Milo. La lava emessa fu di 75 milioni di metri cubi.
L'eruzione del 1981 ebbe inizio il 17 marzo e si rivelò abbastanza minacciosa: in appena poche ore si aprirono fenditure da quota 2550 via via fino a 1140. Le lave emesse, molto fluide, raggiunsero e tagliarono la Ferrovia Circumetnea; un braccio si arrestò appena 200 metri prima di Randazzo. Il fronte lavico tagliò la strada provinciale e la Ferrovia Taormina-Alcantara-Randazzo delle Ferrovie dello Stato, proseguendo fino alle sponde del fiume Alcantara. Si temette la distruzione della pittoresca e fertile vallata, ma la furia del vulcano si arrestò alla quota di 600 m.
Il 1983 è da ricordare oltre che per la durata dell'eruzione, 131 giorni, con 100 milioni di metri cubi di lava emessi (che distrussero impianti sciistici, ristoranti, altre attività turistiche, nuovamente la funivia dell'Etna e lunghi tratti della S.P. 92), anche per il primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della colata lavica. L'eruzione si presentava abbastanza imprevedibile, con numerosi ingrottamenti ed emersioni di lava fluida a valle, che fecero temere per i centri abitati di Ragalna, Belpasso e Nicolosi. Pur tra molte polemiche, e divergenze tra gli studiosi, vennero praticati, con notevole difficoltà, date le altissime temperature che arrivavano a rovinare le punte da foratura, decine e decine di fornelli per consentire agli artificieri di immettere le cariche esplosive. La colata venne parzialmente deviata; l'eruzione ebbe comunque termine di lì a poco.
Il 14 dicembre del 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione del XX secolo (durata 473 giorni), con l'apertura di una frattura eruttiva alla base del cratere di Sud-est, alle quote da 3100 m a 2400 m s.l.m. in direzione della Valle del Bove. L'esteso campo lavico ricoprì la zona detta del Trifoglietto e si diresse verso il Salto della Giumenta, che superò il 25 dicembre 1991 dirigendosi verso la Val Calanna. La situazione fu giudicata pericolosa per la città di Zafferana Etnea e venne messa in opera una strategia di contenimento concertata tra la Protezione civile e il Genio dell'Esercito. In venti giorni venne eretto un argine di venti metri d'altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. La tecnica fu quella dell'erezione di barriere in terra per mezzo di lavoro ininterrotto di grandi ruspe ed escavatori a cucchiaio.
Questa tecnica in seguito si rivelerà efficace nel tentativo di salvataggio del rifugio Sapienza e della stazione turistica di Etna Sud nel corso dell'eruzione 2001, e sarà oggetto di studio da parte di équipe internazionali, tra cui esperti giapponesi. Tutto si rivelò efficace nel rallentare il flusso lavico guadagnando tempo ma ancora una volta non risolutivo in caso di persistenza dell'evento eruttivo. Furono chiamati gli incursori della Marina che operarono nel canale principale, a quota 2200 m, con cariche esplosive al plastico (C4) e speciali cariche esplosive cave per deviare il flusso di lava nel canale d'invito e inviarla così nella valle del Bove, riportando la posizione del fronte lavico a quella di circa sei mesi prima. L'operazione riuscì perfettamente, utilizzando una carica di C4 pari a 7 tonnellate e 30 cariche cave; il tutto, fatto esplodere in rapidissima successione, fece crollare il diaframma che separava il magma dal canale d'invito. Successivamente venne ostruito con grandi macigni di pietra lavica il canale principale che scendeva pericolosamente verso Zafferana Etnea.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Etna