La decorazione pittorica degli interni fu inizialmente affidata dal 1488 ad Ambrogio da Fossano detto il Bergognone (1453 – 1523), pittore lombardo di cultura foppesca, che ideò la decorazione ad affresco, e nove pale d'altare, di cui solo tre ancora in loco. Molte delle cappelle laterali furono infatti rinnovate nei secoli successivi.
La prima cappella a sinistra è di gusto barocco. La pala d'altare con La Maddalena ai piedi di Cristo è del parmigiano Peroni, mentre la decorazione ad affresco è di Federico Bianchi, allievo di Ercole Procaccini (1663). Sono invece quattrocenteschi il lavabo scolpito dai Mantegazza e la vetrata dei de' Mottis, autori di molte delle celebri Vetrate del Duomo di Milano.
Nella seconda cappella, è ospitato il celebre Polittico di Pietro Perugino, commissionato dal Duca Ludovico il Moro al famoso pittore umbro nel 1496. Si sviluppa su due registri: in alto il Padre Eterno, in basso le tre tavole con San Michele arcangelo, l'Adorazione del Bambino e San Raffaele e Tobiolo. Il solo Padre Eterno è originale di Perugino; le tavole inferiori furono cedute nel 1856 alla National Gallery di Londra. In sostituzione delle due tavole disperse ai lati del Padre Eterno, vennero inseriti in alto i due pannelli con i Dottori della Chiesa del Bergognone, realizzati per un altro polittico della Certosa successivamente smembrato.
La terza cappella, intitolata a san Giovanni Battista, cui è dedicato il ciclo di affreschi del genovese Giovan Battista Carlone, caratterizzati da vivaci colori, monumentali ambientazioni architettoniche e una resa fresca e realistica delle figure.
Nella quinta cappella, la Pala di Francesco Cairo, rappresenta santa Caterina da Siena insieme alla sua omonima santa Caterina d'Alessandria.
La sesta custodisce uno dei maggiori capolavori pittorici del complesso, la Pala di Sant'Ambrogio (1490) del Bergognone, sacra conversazione tra santi milanesi. Il dipinto mostra una qualità tecnica elevatissima, con una resa minuziosa dei preziosi particolari delle vesti, che rivelano la particolare interpretazione bergognonesca della maniera dei fiamminghi e di Antonello da Messina, mentre la ieratica compostezza di sant'Ambrogio appare ancora di stampo foppesco.
Interamente barocca è l'ultima cappella a sinistra, dove le movimentate scene sono di Cristoforo Storer. Il dipinto con la Vergine del Rosario è un capolavoro del maestro barocco milanese Morazzone, pittore al servizio del cardinale Federico Borromeo, che realizza un'opera di raffinata eleganza nei toni delicati, nelle forme allungate e nelle dolci espressioni dei personaggi.
Sulla destra, la seconda cappella custodisce un altro capolavoro rinascimentale commissionato dal Duca Ludovico ad un maestro dell'Italia centrale, allievo di Pinturicchio, testimone della sua volontà di arricchire il patrimonio della certosa con opere dei più famosi maestri italiani del tempo. Il polittico è firmato da Macrino d'Alba sulla tavola centrale inferiore e datato 1496. Esso mostra la profonda cultura classica dell'autore, nel Cristo risorto ideato su modelli statuari classici, e nelle architetture romane sugli sfondi dei due Santi laterali (Settizonio, Terme di Diocleziano, Torre delle Milizie), nel fregio dorato su fondo rosso del gradino del trono della Vergine che deriva da un modello della Domus Aurea. Le due tavole del Bergognone con i Quattro Evangelisti, aggiunte successivamente, mostrano la resa profondamente realistica dei soggetti aggiornata sulle novità prospettiche e illusionistiche di Bramante.
Si segnalano dello stesso Bergognone, la pala di San Siro (1491) nella quinta cappella e la Crocifissione (1490) nella quarta. Altre pale dello stesso artista sono ora disperse tra musei e collezioni private: si segnalano qui il trittico con i Santi Cristoforo e Giorgio, ora a Budapest, la pala delle due Ss. Caterine (1490) circa; Londra, National Gallery) e il Cristo portacroce e certosini della Pinacoteca Malaspina di Pavia (1493 circa).
La sesta cappella a destra ospita invece la Madonna col bambino e i santi Petro e Paolo, capolavoro barocco di Guercino. Al di sotto, il mirabile palliotto d'altare mostra una fantasia con architetture, ghirlande di fiori e uccelli di grande effetto cromatico. L'opera, in commesso di marmi pregiati e pietre dure è del marmorista Carlo Battista Sacchi. Al centro la decorazione si fa esuberante intorno al medaglione pendente con lo stemma pontificio costituito dalla tiara e dalle chiavi di San Pietro. Si tratta di uno dei paliotti più notevoli della Certosa, realizzato nel 1688.
L'altare maggiore è posto all'interno del presbiterio e non è utilizzato per le celebrazioni religiose che si svolgono nella navata centrale, davanti alla cancellata. La navata del presbiterio è chiusa alla vista dei fedeli come nella tradizione monastica e certosina in particolare, da un tramezzo realizzato nel seicento e decorato da statue barocche dello scultore genovese Tommaso Orsolino.
Lungo il perimetro sino all'abside il presbiterio è interamente occupato dagli stalli riservati al clero celebrante e un ciclo di affreschi del periodo barocco.
Il grande coro in legno intagliato è un'opera d'intarsio rinascimentale, commissionata da Ludovico il Moro. È notevole sia dal punto di vista dell'intarsio, che per la qualità dei disegni da cui furono tratte le tarsie, probabilmente prodotti dagli stessi artisti autori delle decorazioni pittoriche quali Bergognone e Zenale. I 42 dossali raffigurano santi o personaggi biblici, ciascuno dei quali mostra alle spalle scenari architettonici o naturali con elaborate e fantasiose costruzioni di gusto rinascimentale. L'esecuzione fu affidata dal Duca nel 1486 a Bartolomeo de Polli, modenese già attivo alla corte di Mantova, e completata dall'intarsiatore cremonese Pantaleone de Marchi in tempo per la consacrazione della chiesa, avvenuta nel 1497.
Mentre la volta presenta ancora affreschi di epoca rinascimentale, il vasto ciclo affrescato che ricopre le pareti del presbiterio fu commissionato nel 1630 a Daniele Crespi, pittore proveniente dall'Accademia Ambrosiana, che aveva appena ultimato gli affreschi della Certosa di Garegnano. Si tratta di un ciclo composito, con scene tratte dal Nuovo Testamento, dalle agiografie di santi certosini e di altri santi, abilmente inserito nell'architettura gotica tramite complesso sistema di quadrature decorative, che incorniciano grandi scene sacre e riquadri più piccoli con figure isolate di evangelisti, dottori della Chiesa, profeti, sibille, santi e beati certosini. Nelle ultime opere Crespi mostra di distaccarsi progressivamente dalla corrente ancora impregnata di manierismo nella quale si era formato, verso un classicismo di matrice carraccesca.
Il grande altare maggiore è sormontato da un colossale ciborio in forma di un tempio a pianta centrale con una grande cupola, costruito in marmo di Carrara, con inserti in marmi policromi e pietre preziose quali lapislazzulo, corniola, diaspro e onice, e finiture in bronzo. Fu realizzato nel 1568 su commissione del priore della Certosa Damiano Longone dallo scultore Ambrogio Volpi da Casale. Il tempietto di questo altare è in istile bramantesco: Fr. Brambilla ne fece gli sportelli di bronzo, e Angelo Marini siciliano le tredici statuine di bronzo; il Volpino scolpì gli angeli fiancheggianti il pallio, nel cui centro è un bassorilievo circolare, una Pietà, di finissimo lavoro. La croce dell'altare e i candelabri sono di Annibale Fontana. Nelle pareti ai lati dell'altare stanno infissi dei finissimi bassorilievi di Stefano da Sesto, a sinistra, e di Biagio da Vairone, a destra. Sotto uno di questi bassorilievi, un riquadro con una imitazione del Cenacolo di Leonardo. La vetrata dipinta della finestra absidale (L'Assunzione) fu eseguita forse su disegno del Bergognone. L'antico altare campionese fu trasferito nel 1567 alla parrocchiale di S. Martino a Carpiano, dove si trova ancor oggi.
Gli affreschi che ornano le pareti e le volte del transetto si devono, come detto, a Bergognone coadiuvato da un gruppo di ignoti maestri, tra cui il giovanissimo Bernardo Zenale. Risalta in queste opere una forte impronta bramantesca, nell'equilibrio delle proporzioni e nell'esattezza delle prospettive. Nell'abside di destra del transetto è di Bergognone l'affresco con Gian Galeazzo Visconti presenta alla vergine il modello della Certosa, tra Filippo Maria Visconti, Galeazzo Maria Sforza e Gian Galeazzo Sforza, eseguito tra il 1490-1495, mentre l'abside di sinistra rappresenta l'Incoronazione di Maria tra Francesco Sforza e Ludovico il Moro, con cui quest'ultimo voleva celebrare la propria successione dinastica, ottenuta non senza polemiche dopo la morte del nipote Gian Galeazzo Sforza.
Le due pale d'altare che si fronteggiano nelle due testate opposte del transetto sono capolavori barocchi di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, la Madonna e i ss. Carlo e Ugo di Grenoble dipinta nel 1617-18, e la Madonna e s. Brunone, terminata dal Gherardini.
La fascia decorativa a grisaille che corre lungo tutto lo zoccolo del transetto vede incastonati e figure di Santi, Profeti e monaci certosini, dipinti a monocromo, che si affacciano da tondi realizzati in prospettiva dai vari artisti all'inizio del cinquecento. Alle bifore cieche in alto, si affacciano due monaci certosini resi con notevole perizia illusionistica da Jacopino De Mottis, proveniente da una famiglia di pittori e istoriatori di vetro operosi in Lombardia nel sec. XV. Sono invece autografe di Bergognone le due lunette con la Madonna del tappeto e l'Ecce Homo, entro cornici architettoniche di grande raffinatezza.
Nel braccio destro del transetto, la monumentale porta d'accesso al lavabo dei monaci è opera degli allievi dell'Amadeo. Notevoli in alto i profili femminili con le caratteristiche acconciature del periodo rinascimentale. Il monumentale lavabo è un capolavoro di scultura, commissionato al 1488 ad Alberto Maffioli da Carrara, anche se i critici vi riconoscono anche le mani del Mantegazza. Al di sopra della vasca, dalle sottili decorazioni a motivi vegetali, è la cisterna a forma di urna dalla quale fuoriesce l'acqua. Il coronamento è costituito da una coppia di delfini, e da un busto il cui soggetto è oggetto di discussione. Il grande bassorilievo nella lunetta rappresenta Cristo lava i piedi degli apostoli. Il tutto è racchiuso da un grande arco trionfale istoriato con l'Annunciazione.
Nella parte destra del transetto si trova la tomba del fondatore della Certosa, Gian Galeazzo Visconti, detto Conte di Virtù, (Pavia, 1351 – Melegnano, 1402), primo Duca di Milano. Il monumento fu commissionato dal Duca Ludovico nel 1492 a Gian Cristoforo Romano, apprezzato scultore attivo nelle corti di Mantova e Ferrara. Fu portato avanti con la collaborazione di Benedetto Briosco, che firmò la statua della vergine con il bambino al centro, e fu terminato solo nel 1562, da Bernardino da Novate, cui sono dovuti il sarcofago a terra e le due statue di Virtù che lo affiancano, di impronta ormai manierista, riferite da alcuni ad un progetto di Galeazzo Alessi. L'opera è strutturata su due livelli, ed è completamente ricoperta da fini decorazioni a motivi classici, che richiamano l'opera degli scultori impegnati negli stessi anni nella facciata del tempio. nel registro inferiore, sotto arcate a tutto sesto si trova il sarcofago sormontato dalla statua giacente del defunto secondo la consuetudine dell'epoca. Il registro superiore, con al centro la nicchia con la vergine in piedi del Briosco, presenta tutto attorno riquadri a bassorilievo che narrano la vita del Visconti.
Nella parte sinistra del transetto si trovano le statue giacenti del Duca di Milano Ludovico il Moro (Milano, 1452 – Loches, 1508) e di sua moglie Beatrice d'Este (Ferrara, 1475 – Milano, 1497), opera dello scultore rinascimentale Cristoforo Solari detto il Gobbo. Fu lo stesso Ludovico il Moro a commissionarne l'esecuzione dopo la morte della moglie, avvenuta nel 1497. Le sculture erano destinate ad essere collocate nella tribuna della chiesa milanese di Santa Maria delle Grazie, commissionata dal Moro a Donato Bramante. Tuttavia, a causa della caduta di Ludovico nel 1499, Il monumento funebre rimase incompiuto. Mentre della parte sottostante non se ne ebbe più traccia, nel 1564, vennero acquistate da Oldrato Lampugnani, e portate alla Certosa. Solo alla fine del secolo XIX fu costituito il monumento da Luca Beltrami, appoggiando il coperchio su un sarcofago di marmo rosso. Le tombe sono sempre state inutilizzate, in quanto il Moro dopo la caduta del Ducato di Milano fu catturato dai francesi e morì in Francia; è sepolto nella Chiesa dei Padri Domenicani di Tarascona, mentre Beatrice è sepolta nella Chiesa dei Padri Domenicani di S. Maria delle Grazie a Milano.
Alla sacrestia nuova si accede in fondo al transetto destro, fu decorata nel periodo barocco. La grande aula unica rettangolare, fu affrescata nel 1600 dal pittore senese Pietro Sorri, che, ispirandosi alla Sistina di Michelangelo, ricoperse la grande volta con episodi biblici, monumentali figure di prifeti entro nicchie e leggiadri putti che volteggiano nelle lunette. Rispetto al modello romano, tuttavia, l'opera del Sorri trasmette gioiosità e leggerezza allo spettatore tramite l'uso dei vivaci e chiari accordi cromatici e alla sontuosità dei decori e delle scene. Notevole opera d'intaglio sono gli armadi lignei, ornati con statuette attribuite ad Annibale Fontana. Sull'altare, il trittico dell’Assunzione è di Andrea Solario, tra i massimi esponenti della scuola Leonardesca che fiorì a Milano dopo la partenza del Maestro.
La Certosa possiede anche un importante (e poco studiato) corpus di vetrate, realizzate su cartoni di maestri attivi nel XV secolo in Lombardia, quali Zanetto Bugatto, Vincenzo Foppa, Bergognone e il savoiardo Hans Witz.
L'altare maggiore, risalente al tardo XVI secolo, è intarsiato con bronzi e con diverse qualità di marmi e di pietre dure, realizzato da diversi artisti tra cui Cristoforo Solari.
Nella sacrestia vecchia è conservato un trittico in avorio e osso, opera del fiorentino Baldassarre di Simone di Aliotto, appartenente alla famiglia degli Embriachi (Baldassarre degli Embriachi), donato da Gian Galeazzo Visconti, e realizzato nel primo decennio del quattrocento quale pala per l'altare maggiore, dove rimase fino alla metà del Cinquecento. L'opera, capolavoro d'intaglio di gusto tardogotico, misura alla base 2,45 metri per un'altezza massima, riferita ai pinnacoli laterali, di 2,54 m. È composto di minute composizioni e adorno di piccoli tabernacoli con dentro statuine di santi; nello scomparto centrale accoglie 26 formelle illustranti la leggenda dei Re magi secondo i vangeli apocrifi; nello scomparto di destra e in quello di sinistra 36 bassorilievi (18 per parte) sono raccontati gli episodi della vita di Cristo e della Vergine. Nella cuspide mediana, dentro un tondo sostenuto da angeli, domina il Padre eterno in una gloria angelica, mentre la base del trittico presenta una pietà, fiancheggiata da 14 edicole con altrettante statuine di Santi decorate. Vi sono anche due pilastrini esterni poligonali composti da 40 piccoli tabernacoli adorni di statuette.
Il Trittico fu trafugato dal monastero nell'agosto del 1984 e recuperato nell'ottobre 1985. Sottoposto a restauro negli anni tra il 1986 e il 1989 presso l'Istituto Centrale per il Restauro, l'opera fu ricomposta con ancoraggio alla struttura portante delle parti asportate, tenendo conto del diverso comportamento chimico-fisico dei materiali di cui è composta l'opera (legno, osso e avorio).
Sono presenti anche opere di scultura bronzea, come i candelabri di Annibale Fontana e la cancellata che divide la chiesa dei monaci da quella dei fedeli (XVII secolo).
Un portale decorato all'interno con sculture realizzate dai fratelli Cristoforo e Antonio Mantegazza e all'esterno da Giovanni Antonio Amadeo, conduce dalla chiesa al chiostro piccolo al cui centro si trova un giardino.
Il chiostro piccolo era il luogo in cui si svolgeva gran parte della vita comunitaria dei padri: questo collegava, con i suoi portici, ambienti come la chiesa, la sala capitolare, la biblioteca e il refettorio.
Da esso si vede il fianco e il transetto della chiesa, con le guglie, le loggette in stile "neoromanico" e il tiburio. Un tempo tutti i tetti erano ricoperti di rame, sequestrato durante le guerre napoleoniche per la costruzione di cannoni.
Sul portale d'accesso al chiostro piccolo si legge la firma del pavese Giovanni Antonio Amadeo (1447-1522). Gli ornamenti in terracotta che sormontano i sottili pilastri di marmo sono stati eseguiti dal maestro cremonese Rinaldo de Stauris nel 1466 che, in collaborazione con i fratelli Cristoforo e Antonio Mantegazza, realizzò anche quelli del chiostro grande nel 1478. Alcune delle arcate, decorate dagli affreschi di Daniele Crespi, sono oggi in parte illeggibili.
All'interno del chiostro piccolo vi è il lavabo in pietra e terracotta, con la rappresentazione della scena della Samaritana al pozzo (terzo quarto del XV secolo).
Decorazioni simili, opera degli stessi scultori, sono presenti anche nel chiostro grande, lungo circa 125 metri e largo circa 100. In origine le celle erano 23. Interventi strutturali nel 1514 ne aumenteranno il numero, che passarono a 36. Oggi si affacciano sul chiostro grande 24 celle o casette, abitazioni dei monaci, ognuna costituita da tre stanze e un giardino. Di fianco all'ingresso delle celle, siglate da lettere dell'alfabeto, è collocata una piccola apertura entro cui il monaco riceveva il suo pasto giornaliero nei giorni feriali, in cui era prescritta la solitudine. Per i pasti comunitari, ammessi solo nei giorni festivi, ci si riuniva nel refettorio. Il vastissimo porticato, dalle 122 arcate, fu costruito da Guiniforte Solari nella seconda metà del Quattrocento. Le colonne delle arcate, decorate da elaborate ghiere in cotto, con tondi e statue di santi, profeti e angeli, sono alternativamente in marmo bianco e marmo rosa di Verona.
Sono invece scomparsi i dipinti che ornavano un tempo il chiostro, per cui Vincenzo Foppa fu pagato nel 1463.
Il refettorio fu tra i primi ambienti ad essere edificati e nei primi anni del cantiere fu utilizzato come chiesa, trattandosi di un'aula rettangolare molto ampia. La volta a spicchi presenta la decorazione più antica, che comprende una Madonna con Bambino e Profeti nelle lunette attribuiti a Bergognone, mentre al centro è il sole radiante o razza, emblema della dinastia viscontea. Il pulpito marmoreo fu scolpito all'inizio del Cinquecento con l'arcone classico e la balaustra con statue. Da esso venivano effettuate le letture durante i pasti. Più tardo è l'affresco dell´Ultima Cena (1567), opera di Ottavio Semino.
L'antica Foresteria, edificata tra il 1616 e il 1667, è nota anche come Palazzo Ducale ed è opera di Francesco Maria Richino. Al suo interno dall'inizio del novecento è stato allestito dall'architetto Luca Beltrami il Museo dedicato alle opere d'arte del convento. Esso comprende una gipsoteca che custodisce le copie in gesso di varie sculture e oggetti dei Visconti. Oltre alla presenza di calchi e frammenti scultorei provenienti dalla Certosa, si segnalano alcuni ambienti affrescati (come lo Studiolo e l'Oratorio del Priore) e dipinti di Vincenzo Campi (lo splendido Cristo inchiodato alla croce), Bernardino Campi, Bartolomeo Montagna, il Bergognone, Bernardino Luini.
Sul retro della chiesa un alto muro di cinta delimita i terreni dove vengono coltivate erbe medicinali. In questo spazio, dietro l'abside, si trova anche una grande peschiera in marmo decorato che in passato serviva ai monaci per allevare pesci d'acqua dolce e a conservarvi quelli pescati nei canali circostanti.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Certosa_di_Pavia_-_interno