La cattedrale di San Giustino, della arcidiocesi teatina, è la più grande ed importante chiesa del comune di Chieti e monumento nazionale dal 1902.
Nel VI secolo il Colle San Gallo, ossia la piazza della cattedrale, fu l'area scelta dal vescovo Donato per la costruzione della Basilica di Santa Maria Madre di Dio, la prima realizzazione costruttiva della cattedrale di San Giustino. Dagli studi archeologici presso le fondamenta del Duomo attuale, si è scoperto che Donato avrebbe fatto realizzare la basilica seguendo il modello della basilica civile romana, a navata centrale e a pianta rettangolare, con due navatelle laterali; terminante con abside semicircolare. L'edificio era preceduto da un cortile quadriportico, sulla facciata si aprivano una serie di arcate con i portoni di ingresso. Infine sotto il presbiterio c'era la cripta, usata per venerare il corpo di Santo Giustino di Siponto, primo vescovo di Chieti, ricavata da una cisterna romana. L'arrivo dell'orda visigota nel V secolo provocò distruzioni, con l'arrivo di Teodorico nel 489 in Italia le sorti di Teate migliorarono, e si beneficò del nuovo sistema politico ostrogoto, la Cattedrale continuò a prosperare, mentre la città veniva dotata di uno "xenodochium" per ospitare gli stranieri, con cappella dedicata a Sant'Agata, detta ancora oggi "dei Goti", situata nel quartiere Trivigliano, prima parrocchia di questo agglomerato urbano, oggi noto come 'Porta Pescara o Porta Santa Maria.
Durante la guerra greco-gotica, la città cadde nuovamente in degrado, con il governo bizantino i monumenti principali vennero decorati seguendo la nuova corrente artistica, ma la cattedrale versò in grave dissesto, sicché il vescovo Venanzio grazie alle risorse personali attinse alle casse della diocesi,m che nel frattempo aveva acquisito nel Sannio molto potere. Nel frattempo iniziò a sorgere un quartiere attorno il Duomo, e si ipotizza che già nel VI-VII secolo fosse sorto il Palazzo del Capitano di Giustizia accanto la cattedrale, quello sopra cui sorge l'attuale costruzione neogotica degli anni '20, che già prima era stato varie volte riedificato. Passata sotto il ducato di Benevento, Chieti venne governata dal Conte Astolfo, il quale riportò la prosperità economica e favorendo le conversioni al cristianesimo, stipulando accordi col vescovo e la diocesi. Si ha notizia di un terremoto che colpì la cattedrale, che venne restaurata e ampliata, e dedicata a San Tommaso Apostolo, cui era dedicato lo scriptorium dei monaci. Si presume che col terremoto andarono distrutte le decorazioni dell'epoca bizantina.
Durante la guerra del Papa contro il ducato di Benevento, dalla Francia venne chiamato il sovrano Carlo Magno, il quale spedì i suoi luogotenenti nelle città principali del ducato, tra cui Chieti, che venne saccheggiata e bruciata nell'801, nonostante le proteste del Conte Astolfo; la città verrà ricostruita, ma aggregata al neonato ducato di Spoleto dei Franchi. A causa del grave incendio della città, è difficile ricostruite le vicende della città dalla tarda epoca romana in poi, poiché i documenti della diocesi furono andati disperi o distrutti. A Chieti venne istituita una "marca" la forma di governo franco, e affidata al controllo del Conte Aldo, mentre la diocesi era sotto il vescovado di Tedorico suo fratello, il quale si adoperò per ricostruire la cattedrale, riconsacrata solennemente nel 1069 durante il governo dei Conti Attoni, mentre anche le altre chiese dei Santi Pietro e Paolo venivano ristrutturate. Si ipotizza che all'epoca (XI-XII secolo) la chiesa dovesse somigliare per aspetto al cenobio benedettino dell'abbazia di San Clemente a Casauria, fondato nell'872 sulla Valle della Pescara. Con sinodo del 7 maggio 1842 il vescovo Teodorico riconsacrò la cattedrale a San Giustino Confessore di Siponto.
Il sito che ospita la chiesa cattedrale teatina è stato occupato, nei secoli, da una lunga serie di edifici. Tralasciando le ipotesi su eventuali preesistenze classiche o paleocristiane, si è a conoscenza della consacrazione di un nuovo edificio dedicato a San Tommaso Apostolo da parte del vescovo Attone I nel 1069 (il 5 novembre), sorgente sui resti di due fabbriche preesistenti, la cui struttura ci è sconosciuta; una di queste probabilmente fu distrutta nell'incendio che Pipino appiccò alla città nell'801, l'altra crollò in una data imprecisata, dopo essere stata realizzata dal vescovo di Chieti Teodorico I, di origine franca (840).
La fabbrica di Attone doveva avere l'orientamento odierno, anche se non ci è pervenuta in nessun modo, se non (forse), in qualche elemento della cripta, ristrutturata nel trecento, secolo a cui si deve anche la costruzione dei primi tre piani del campanile.
Nel 1498, Antonio da Lodi aggiungerà l'ultimo piano e la cuspide; per via dei rifacimenti successivi, e soprattutto in stile pseudo gotico, quanto ai restauri degli anni '20, il campanile è l'unica opera originale della chiesa medievale, con la base in blocchi di pietra di montagna, risalente all'XI secolo, e gli altri livelli del XV secolo realizzati dall'architetto che realizzò anche le torri campanarie del duomo di Teramo, del duomo di Atri, delle chiese di Sant'Agostino sia a Penne, che ad Atri, della collegiata di Città Sant'Angelo. L'edificio comincia ad assumere le fattezze odierne a cavallo del Seicento, quando l'arcivescovo-conte di Chieti, Matteo Seminiato, procede ad una prima grande ristrutturazione, alle quale ne seguiranno altre anche a causa dei rovinosi terremoti che si abbatterono sulla zona (prima di tutto il famoso sisma del 1703).
In particolare fu troncata la cuspide ottagonale del campanile, che verrà rifatta solo negli anni '30 del Novecento; ma in realtà tutta la cattedrale dovette essere ricostruita, seguendo tuttavia l'impianto originale; anche la cripta, riportata nello stile medievale negli anni '70, fu ornata con fastosi stucchi. È in questo periodo, tra gli arcivescovati di Monsignor Francesco Brancia (1769) e Luigi Ruffo Scilla (1881), che la chiesa assume le forme di delicato tardo barocco che contraddistinguono l'interno.
Tra gli anni 1920 e 1936, viene progettata e realizzata da Guido Cirilli la sistemazione che rivoluziona la facciata, nascosta dal mastodontico campanile, rifatta con un rosone pseudo romanico e coronamento orizzontale, come le chiese aquilane, ed il fianco della cattedrale (che poi è quello che la chiesa mostra alla piazza), ridisegnato in forme medievali ispirate in parte ai pochi elementi della decorazione coeva superstiti nella zona absidale, in parte più cospicua ad esempi romanici della zona adriatica meridionale. Viene eliminato l'ingresso laterale (originariamente corredato da una scalinata e da un portico), disegnato un nuovo portale, sempre tangente all'ingresso vero e proprio, una nuova facciata per il transetto, con una monumentale ghimberga a crochet ispirata probabilmente a quella della facciata della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Teramo, mentre chiesa e campanile venivano inglobati in una zoccolatura marmorea e veniva riedificata la cuspide campanaria caduta nel 1703 a causa del terremoto aquilano.
Negli anni settanta, la politica di “ripristino” allora perseguita dalla sopraintendenza regionale, distrugge le decorazioni barocche della cripta, riportando alla luce il sottostante “strato” medievale di mattoni a vista e solo poche tracce di affreschi. Nel 2005 la base del campanile viene adornata con la statua di San Giustino, e vengono eseguiti lavori di ripulitura del'esterno.
L'esterno è il frutto del rimaneggiamento neogotico degli anni '20. Originalmente aveva una facciata secondaria presso il campanile, e il lato del transetto aveva un finestrone, oggi inglobato nel rosone a raggi. L'esterno mostra verso piazza San Giustino un ingresso monumentale, con scalinata che termina presso un portale gotico strombato, con lunetta a mosaico. È raffigurato Cristo con San Giustino.
Il fianco della chiesa ha finestroni gotici slanciati e snelli, con balaustra della sommità sopraelevata da cornicione con portico gotico. Il portico termina presso il transetto, e inizia presso una piccola torre campanaria. Il transetto ha un rosone a raggi, e alla base è accessibile da due porte a tutto sesto, con statue di santi alla scalinata. Si accede alla cripta. La facciata vera e propria è semicoperta dal monumentale campanile, ed è rettangolare, con un semplice rosone a raggi.
Il campanile attuale risale all'XI secolo per quanto concerne il settore di base in pietra. Gli altri tre settori più la cuspide, sono frutto di una ricostruzione rinascimentale del XV secolo, e successivamente dall'800, in chiave neogotica, dopo i danni del terremoto della Maiella del 1706. Il secondo settore è decorato, dal lato della piazza, da una finestra bifora, simile all'ordine delle altre quattro del terzo settore. Sul lato della piazza c'è un orologio decorativo. Le cornici marcapiano sono abbellite da beccatelli con palline cerulee tra gli archi. L'ultimo settore contiene gli archi delle campane: la cattedrale ha un ordine di 12 campane, cinque maggiori a mezzo slancio e due fisse per suonare l'ora. nel campanile grande, e altre 5 inceppate alla veronese, inutilizzate sulla piccola torre campanaria
La cuspide è frutto della ricostruzione degli anni '20, ispirata a quella del Duomo di Teramo, o della Cattedrale di Atri: un tamburo ottagonale a nicchie con il cono cuspidale.
Pur nei rimaneggiamenti, la cattedrale continua a rispettare la pianta basilicale a tre navate divise da pilastri e denuncia le sue lontane ascendenze benedettine. Dotata di transetto non eccedente in pianta, di un presbiterio sopraelevato (sotto al quale si apre la cripta) e di tre absidi al termine delle navate, presenta due asimmetrie, con l'apertura nella navata sinistra della cappella del Sacramento e la prosecuzione della stessa navata sinistra in senso orizzontale, oltre la pianta della chiesa, con il secretariato. Nella parte destra invece si apre giusto in corrispondenza della controfacciata, una piccola nicchia che contiene la fonte battesimale.
Le navate laterali sono coperte a calotta (nella sola navata destra si aprono tre monofore), la centrale, ampia secondo la tipologia romanica il doppio delle laterali, è scandita da vigorosi pilastri quadrangolari a zoccolatura marmorea che sorreggono una volta a botte lunettata, decorata da episodi della vita della Vergine Maria e di San Giustino. Nel transetto sono ricavati due altari fastosamente decorati, mentre due cappelle si aprono nelle absidi. Sopra il transetto svetta l'imponente cupola circolare, all'interno della quale si trovano otto lucernari.
Il profondo presbiterio, che ospita il coro, lo scranno dell'arcivescovo (Chieti è sede metropolita), il monumentale altare maggiore, ed il piccolo ma raffinato altare postconciliare, sono coperti da una calotta semisferica, prima della quale si aprono altri due grandi finestroni che donano luce all'intera zona, quella absidale.
L'ingresso ai bracci laterali del transetto ed al presbiterio è consentito da due ordini diversi di scalinate; quella della navata centrale è costeggiata da una raffinata balaustra e s'interseca con le scalette che consentono viceversa la discesa nella cripta. Poco al di sopra della balaustra, sul primo ordine di pilastri, s'innalza un pulpito ligneo.
La cappella di San Gaetano da Thiene, si trova nel lato destro del transetto ed è dedicata ad un santo proveniente dalla provincia vicentina ma strettamente legato a Chieti per via della fondazione dell'ordine regolare dei "teatini", realizzata di concerto all'allora vescovo Gian Pietro Carafa (il futuro papa Paolo IV). Fondato nel 1524 l'ordine che prese il nome appunto da Chieti (Teate) aveva avuto origine dall'Oratorio del Divino Amore, istituito a Roma nel 1517, ed ebbe grandissima importanza nella restaurazione cattolica.
L'altare risale al 1738, voluto dall'arcivescovo De Palma al quale si riferiscono le due lapidi ai lati dello stesso. È formato da un altare marmoreo, sormontato da due colonne che sorreggono un timpano spezzato al centro del quale sono raffigurati degli angeli. La pala dell'altare risale anch'essa al 1738 e raffigura Il Santo mentre riceve dalle mani della Vergine Maria il Gesù Bambino, nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, nella notte di Natale del 1517. È opera di Ludovico De Majo, pittore napoletano seguace di Solimena, piuttosto attivo in città; di tipico tratto barocco napoletano, è una classica conversazione di santi caratterizzata da un cromatismo molto freddo, quasi a conferire ai personaggi tratti da statue di cera. In alto, nella volta del transetto, trova posto una tela raffigurante gli ordini dei frati camilliani, dei caracciolini e dei teatini (tutti legati in qualche modo alla città), opera del pittore ottocentesco Del Zoppo.
La cappella della Mater populi teatini, si trova nella parte destra del transetto, sopraelevata di un gradino rispetto allo stesso. All'interno di essa vi sono due tele, un altare marmoreo ed una nicchia con una statua lignea rinascimentale di Maria con Gesù bambino. L'altare ospito un paliotto datato 1695, anticamente posto sull'altare maggiore e che rappresenta San Giustino in abiti pontificali. I due quadri invece sono celebrazioni di martiri appese ai lati della cappella: quello di sinistra è del guardiense, Nicola Ranieri, e raffigura San Giovanni Nepomuceno, martirizzato in Boemia nel 1393; quello di destra è di autore ignoto e mostra i protomartiri locali (secondo la tradizione) Domiziano e Legonziano.
Sul lato sinistro del transetto, in fondo, si apre la cappella dedicata al santo protettore di Chieti e titolare della cattedrale San Giustino (le cui reliquie invece si trovano in cripta), restaurata come testimoniato da una targa all'ingresso. La dedicazione al patrono è degli anni settanta del novecento; la cappella originaria si trovava anch'essa infatti in cripta; di San Giustino è contenuto solo un busto in bronzo protetto da una robusta inferriata. Tale opera è di scuola scultorea romana, ed è stata eseguita nel 1983: le precauzioni sono un retaggio del furto del busto (stesso materiale, ma molto più prezioso) che Nicola da Guardiagrele realizzò nel quattrocento. Le opere pittoriche presenti ai lati della cappella, finemente decorata in marmo, sono invece dedicate a san Nicola di Bari; quella di sinistra, semplice e di stampo devozionale, è del 1900 ed è firmata Marchiani. Quella di destra, è del XVI sec. ed è di autore ignoto.
La cappella dell'Immacolata si trova nella zona sinistra del transetto, perfettamente di fronte a quella di San Gaetano. Anche qui troviamo un altare marmoreo, sormontato da 4 colonne che reggono due timpani spezzati, e la fastosa decorazione a stucchi. Le due statue in gesso ai lati, sono opera del comasco Giuseppe Mambrini e raffigurano allegorie della virtù (la fortezza e la mansuetudine). La pala d'altare invece risale al 1759, e fu commissionata al napoletano Saverio Persico (autore anche della pala d'altare maggiore) dall'allora arcivescovo monsignor Sanchez de Luna. Rappresenta L'Immacolata Concezione in "conversazione" con San Nicola e San Gennaro, santi della devozione personale dell'arcivescovo, che era di origine napoletana e faceva nome appunto Nicola. Sempre di scuola napoletana ed eseguita secondo i canoni del tardo barocco, la pala del Persico è meno incisiva di quella dell'altare maggiore, soprattutto nei cromatismi spenti e piatti, mentre la drammatica espressività dei volti è riscontrabile solo nell'emaciato San Gennaro.
La cappella del SS. Sacramento si apre lungo la navata di sinistra, ed è un oratorio quadrato voltato a botte; appare come una riproduzione in piccolo della cappella del SS.Sacramento in San Pietro a Roma. Separata dalla navata da una balaustra, presenta ai lati due opere pittoriche devozionali dedicate alla Madonna. Quella sulla destra di chi entra, riporta la Madonna dei miracoli di Casalbordino: il messaggio "cantate domino" ricorda l'esistenza ivi di una piccola cantoria poi soppressa. In fondo alla cappella c'è l'altare del SS.Sacramento, con due angeli di cartapesta bianca a "vegliare" una svettante macchina marmorea-lignea, dorata in quasi tutte le sue parti. Al centro di essa, troviamo la pala Il trionfo dell'eucaristia del pittore romano Francesco Grandi. La tela, dipinta in stile neoclassico nel 1890, vede un Cristo in trono al culmine di una scalinata con angeli oranti ai piedi della stessa. Uno di questi, quello più esterno sulla sinistra del quadro, porta in mano la pisside contenente il Santissimo Sacramento.
Il presbiterio si presenta come un ambiente ampio e ben proporzionato all'interno dell'edificio. Illuminato in maniera imponente dai due finestroni che si aprono tra le colonne e la calotta semisferica che lo conclude, l'ambiente è sopraelevato di tre gradini ed introdotto da due statue, una per lato, dei santi Pietro e Paolo, realizzate in cartapesta dorata. La calotta è ornata da stucchi riproducenti disegni geometrici, le colonne hanno, come nel resto della chiesa, i capitelli decorati in legno dorato, e continua il gioco di mensole e paraste che contraddistingue l'intera aula.
Al centro del presbiterio, sul lato prospiciente l'assemblea, è posizionata l'altare "nuovo", introdotto dopo la riforma liturgica; al suo fianco una croce processionale dorata, come ricco di dorature è l'altare stesso. Entrambi sono piacevoli nella loro semplicità. Lungo entrambi gli assi longitudinali del presbiterio è presente il coro dei canonici, opera lignea voluta da Monsignor Brancia, realizzata nel settecento dall'intagliatore Bencivenga e dalla sua bottega, autori anche dei confessionali e del pulpito.
Oltre il coro, sulla sinistra del presbiterio, c'è la cattedra vescovile Quasi addossato all'abside quindi troviamo l'altare maggiore, il cui paliotto è attribuito a Giuseppe Sammartino, e sul quale si staglia la pala di Tommaso apostolo e la sua mastodontica cornice, ornata di angioletti lungo tutti i lati ed in particolare sulla sommità. Datata al 1789, è opera di Saverio Persico. In essa è raffigurata l'incredulità di San Tommaso, celebrato sull'altare in onore, evidentemente, della prima dedicazione della Chiesa. L'episodio è quello più famoso della vita dell'apostolo, nonché uno dei capisaldi della dimostrazione della resurrezione del Cristo, che invita l'incredulo discepolo a toccare con mano il suo costato e le ferite ancora presenti nella sua carne. Rappresentazione abbastanza canonica dell'avvenimento, si dimostra comunque di pregio sia nella composizione spaziale, sia nei cromatismi. Nella volta un ovale (di epoca successiva) riproduce lo stesso tema della pala d'altare, mentre ai lati del presbiterio si aprono altri due spazi simili che forniscono preziose informazioni in forma pittorica: sono infatti i medaglioni dei successori di San Giustino, voluti a metà dell'800 dall'arcivescovo Saggese. La stessa iscrizione in entrambi recita così: "Giustino dopo Antimo e dodici vescovi dopo S.Giustino ressero, come si tramanda, questa sede teatina".
L'altare maggiore della cattedrale di San Giustino è un'imponente macchina marmorea dotata di alcuni completamenti lignei; una composizione abbastanza rigida ed imponente nel suo complesso, di lastre di marmo policromo, che al centro, tra due colonnine, lasciano spazio al prezioso paliotto, vero capolavoro di arte scultorea, e poco conosciuto anche dalla letteratura artistica tradizionale. In uno pura espressione del miglior barocco, ritorna il racconto già visto in uno degli ovali della navata centrale, "L'acclamazione di San Giustino a vescovo" da parte del popolo che lo convince ad accettare il bastone del comando. Il movimento delicato e sinuoso delle forme, capaci di rendere al meglio anche la natura e l'austerità del rifugio della Maiella, rappresenta la figura del santo, di grandissimo pregio nel viso stupito e timoroso, che si contrappone ad un piccolo ma tumultuoso gruppo: in pochi simboli sono trasmesse due ansie diverse: quelle di San Giustino, che rimane con una mano quasi aggrappato al suo libro e dunque al monachesimo ed alla vita contemplativa; quello della gente, che invece è impaziente di vederlo sullo scranno vescovile e di averlo alla propria guida. L'opera, voluta da Monsignor Brancia, è attribuita al grande maestro napoletano Giuseppe Sammartino. Tale paternità tuttavia non è unanimemente riconosciuta e non manca chi afferma che possa appartenere a qualche seguace non meglio precisato.
Nell'XI secolo esso era dedicato a Santa Maria Madre di Dio e a San Tommaso Apostolo.
Dedicata nell'XI secolo a San Giustino, la cripta odierna è un ambiente che riporta alla pura e spartana impostazione romanica, tipica di questi ambienti, destinati a sepolture e, nelle chiese medievali, spesso scevri d'ogni decorazione per accentuarne l'aspetto sacrale e di raccoglimento. L'ambiente in realtà era estremamente differente fino a pochi anni addietro e per averne un'idea, basta visitare l'adiacente cappella del monte dei morti, nella quale le modificazioni (o i "ripristini", secondo la terminologia delle sopraintendenze del tempo) non sono avvenute. La cripta era dunque ornata fastosamente da stucchi e decorazioni pittoriche, in pieno stile barocco. Dal punto di vista architettonico, si tratta di una serie di navate irregolari, coperte da volte a crociera e rette da archi a tutto sesto o da archi acuti, poggianti su colonne e capitelli di diversa epoca e fattura. I lavori degli anni settanta hanno riportato alla luce anche alcuni antichi affreschi di incerta attribuzione. Quelli della cappella alla sinistra dell'altare maggiore (dedicata al SS.Sacramento) sono i più antichi ma di modesta fattura ed in stato precario di conservazione. Vi è raffigurato un Cristo deposto con dolenti ma soprattutto, di fronte, un gruppo di figure comprendenti anche San Giustino: si tratta della più antica immagine del protettore di Chieti, con tutta probabilità dei primi anni del quattrocento, di qualche decennio antecedente anche alla lastra murata vicino all'altare maggiore. Nella cappella di destra vi sono invece alcuni affreschi staccati e poi riportati su tavola. Rappresentano una "crocifissione" ed un "compianto sul Cristo morto" dell'ultimo quarto del XV secolo e sono state riferite entrambe al Maestro di Montereale, dopo che la crocifissione aveva recato per anni l'attribuzione ad Antonio Solario. Difficile datare con precisione l'ambiente, che comunque in questa conformazione dovrebbe esistere dal XII secolo (ma potrebbe aver coinciso con la chiesa preesistente) Scendendo dalla chiesa superiore, si può notare come la cripta sia maggiormente sviluppata, in senso longitudinale, rispetto al presbiterio: si divide infatti in un ampio ambiente destinato all'assemblea che prosegue "incuneandosi" sotto la navata centrale, ed un ambiente "sacro" composto dal presbiterio e dalle già citate cappelle, alle quali si devono aggiungere la sagrestia e due ulteriori appendici: la cappella del Monte dei morti, sul fianco sinistro della cripta e la tomba dei vescovi, che all'apposto situa il suo ingresso scendendo dalla navata destra, in prossimità della porta che permette l'ingresso in cripta direttamente dalla piazza (è luna delle poche cripte esistenti ad essere dotata di questo "privilegio").
Sulla cantoria in controfacciata si trova l'organo a canne, costruito da Zeno Fedeli nei primi anni del XX secolo. Integro nelle sue caratteristiche foniche originarie, è a trasmissione integralmente meccanica; la sua consolle dispone di due tastiere e pedaliera, con i comandi dei registri costituiti da placchette a bilico. Nella cappella di San Giustino si trovava un secondo strumento, realizzato nel 1885 da Pacifico Inzoli ed attualmente smembrato in alcuni locali adiacenti alla cripta; a trasmissione integralmente meccanica, aveva un'unica tastiera e pedaliera.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_San_Giustino