Il battistero dedicato a San Giovanni Battista, patrono della città di Firenze, sorge di fronte al duomo di Santa Maria del Fiore, in piazza San Giovanni.
Inizialmente era collocato all'esterno della cerchia delle mura, ma fu compreso, insieme al duomo, nelle mura realizzate da Matilde di Canossa ("quarta cerchia"). In origine era circondato da altri edifici, come il palazzo Arcivescovile che arrivava molto più vicino, i quali vennero abbattuti per creare l'attuale piazza. Il battistero ha la dignità di basilica minore.
Il battistero si trova fra piazza del Duomo e piazza San Giovanni, fra il duomo e l'arcivescovado, nel centro religioso della città. La facciata principale dell'edificio ottagonale è rivolta ad est, verso il duomo, mentre l'abside si trova verso ovest.
Le origini del monumento costituiscono uno dei temi più oscuri e discussi di tutta la storia dell'arte. Fino al Cinquecento si seguiva l'antica tradizione fiorentina secondo cui esso sarebbe stato in origine un tempio del dio Marte, modificato nel medioevo solo nell'abside e nella lanterna. Nei secoli seguenti invece questa idea fu gradualmente abbandonata, anche perché alla fine dell'Ottocento scavando sotto l'edificio apparvero i resti di domus romane, probabilmente del I secolo d.C., con pavimenti a mosaico a motivi geometrici. Si ritenne quindi che ciò dimostrasse l'origine medievale del monumento, e su questo presupposto si basano la maggior parte delle teorie attuali. Oggi gli studiosi restano comunque divisi tra chi, basandosi sulle caratteristiche classicheggianti dell'architettura, pensa a una costruzione di epoca paleocristiana (IV-V secolo d.C.), e chi invece la data intorno al mille per i rinvenimenti archeologici che si è detto e anche per un documento che ne attestava la consacrazione avvenuta ad opera di papa Niccolò II il 6 novembre 1059; e c'è anche chi ipotizza successivi rimaneggiamenti tra VII e XI secolo e anche oltre, addirittura fino alle soglie del Rinascimento.
Queste spiegazioni così diverse fanno capire quanto il problema sia ancora aperto, e va aggiunto che negli ultimi anni è stata anche avanzata l'ipotesi che le tradizioni fiorentine dicessero sostanzialmente il vero quando raccontavano che il monumento era stato un 'Tempio di Marte' (di cui non è stata mai trovata traccia), nel senso non di tempio pagano, ma di edificio commemorativo della vittoria di Stilicone su Radagaiso, avvenuta a Firenze nel 406 e ricordata da tutti gli storici del tempo come un fatto straordinario, tanto che lo stesso Sant'Agostino la portò come argomento contro i pagani a dimostrazione della potenza di Dio. Solo in un secondo tempo, poi, l'edificio sarebbe stato consacrato all'uso cristiano, come accaduto per molti altri monumenti antichi. In questa ipotesi i reperti romani degli scavi andrebbero spiegati non come resti di devastazioni barbariche del Vi secolo, ma come demolizioni eseguite nello stesso V secolo prima della costruzione e proprio per far posto all'edificio. La qualità della sua architettura andrebbe perciò riferita non al romanico fiorentino ma alla tarda romanità.
Nei documenti scritti, la prima citazione del monumento risale all'anno 897, quando si sa che l'inviato dell'imperatore amministrava la giustizia sotto il portico "davanti alla chiesa di San Giovanni Battista". Il termine "chiesa" fa capire che a quella data l'edificio era officiato, anche se non è chiaro se avesse già le funzioni di battistero. Comunque sia, la consacrazione da parte di papa Niccolò II avvenne probabilmente dopo vari lavori di restauro.
Nel 1128 l'edificio diventò ufficialmente battistero cittadino e intorno alla metà dello stesso secolo venne eseguito un rivestimento esterno in marmo, successivamente completato anche all'interno; il pavimento in tarsie marmoree venne realizzato nel 1209.
Secondo alcuni la cupola sarebbe stata realizzata nella seconda metà del XIII secolo, ma di ciò non esiste nessun documento, e tecnicamente l'ipotesi è assai discutibile.
I mosaici della scarsella risalgono verso il 1220 e successivamente fu eseguito il complesso mosaico della cupola a spicchi ottagonali, al quale si lavora tra il 1270 e il 1300, con l'intervento di frate Jacopo e la partecipazione di Coppo di Marcovaldo e di Cimabue.
Tra il 1330 e il 1336 viene eseguita la prima delle tre porte bronzee, con l'utilizzo di 24 formelle, commissionata ad Andrea Pisano dall'Arte di Calimala, l'arte più antica dalla quale discendono tutte le altre, sotto la cui tutela era il battistero: essa era di fatto in competizione con l'Arte della Lana che patronava invece il vicino duomo. La porta, forse inizialmente collocata sul lato est, il più importante, di fronte al Duomo, fu spostata sul lato sud per collocare al posto d'onore la seconda porta: tale notizia, riportata dal Vasari e ripresa un po' da tutte le fonti fino ad oggi, è stata messa recentemente in dubbio per discrepanze nelle misure tra le due aperture. Verso il 1320 inoltre Tino di Camaino aveva scolpito tre gruppi scultorei entro nicchie per decorare la parte sopra i portali di ciascun ingresso: consumate dalle intemperie vennero poi gradualmente sostituite dalla fine del Quattrocento in poi: la maggior parte dei frammenti è oggi nel Museo dell'Opera del Duomo.
L'attuale porta nord, tra il 1401 e il 1424, venne realizzata da Lorenzo Ghiberti, vincitore di un concorso a cui parteciparono anche Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Simone da Colle Val d'Elsa, Niccolò di Luca Spinelli, Francesco di Valdambrino e Niccolò di Pietro Lamberti. Inizialmente collocata sul lato orientale, fu a sua volta poi spostata sul lato nord. Nel corso del restauro iniziato nel 2013 si è scoperto, pulendo le formelle, che le figure dei bassorilievi sono dorate, tramite doratura ad amalgama di mercurio su base bronzea.
La terza porta, con formelle interamente rivestite d'oro, eseguita sempre dal Ghiberti tra il 1425 e il 1452 e chiamata da Michelangelo "Porta del Paradiso", tuttora occupa il lato orientale. Per la realizzazione delle due porte, il Ghiberti creò una vera e propria bottega di bronzisti, nella quale si formarono artisti come Donatello, Luca della Robbia, Michelozzo, Masolino e Paolo Uccello.
Nel 1576, in occasione del battesimo dell'atteso erede maschio del granduca Francesco I de' Medici, Bernardo Buontalenti ricostruì il fonte battesimale, distruggendo i battezzatoi medievali ricordati da Dante Alighieri (Inf. XIX vv. 16-20), nonché il coro che era nell'abside.
Il battistero fiorentino era luogo di investitura di cavalieri e poeti, come ricorda Dante Alighieri nel Paradiso (XXV, 7-9): "con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte / del mio battesmo prenderò 'l cappello". Era sede deputata per solenni giuramenti, nonché per la celebrazione in onore del patrono cittadino con il dono delle stoffe pregiate (i palii) da parte dei magistrati del Comune nella ricorrenza del Battista (24 giugno).
Ha una pianta ottagonale, con un diametro di 25,60 m, quasi la metà di quello della cupola del Duomo. L'ottagono è già figura tipica dei battisteri, soprattutto medievali e di ispirazione bizantina, di cui l'ipotesi più probabile è quella di ricordare l'"ottavo giorno" della settimana, che nel Nuovo Testamento del Cristianesimo è simbolo di Resurrezione ed Eternità.
La necessità di un edificio di vaste dimensioni si spiega con l'esigenza di accogliere la folla che riceveva il battesimo solo in due date prestabilite all'anno. Anticamente era sopraelevato di alcuni gradini, scomparsi con l'innalzamento graduale del piano del calpestio, che Leonardo da Vinci aveva pensato di ricreare studiando un modo per sollevare in blocco l'edificio e ricreare una nuova piattaforma.
L'edificio è coperto da una cupola ad otto spicchi, mascherata all'esterno dall'attico e coperta da un tetto a piramide schiacciata. Sul lato opposto all'ingresso sporge il corpo dell'abside rettangolare (scarsella).
L'ornamento esterno, in marmo bianco di Carrara e verde di Prato, è scandito da tre fasce orizzontali, ornate da riquadri geometrici, quella mediana occupata da tre archi per lato, nei quali sono inserite superiormente finestre con timpani. Ai pilastri in marmo verde del registro inferiore corrispondono colonne poligonali in strisce bianche e nere in quello superiore, reggenti gli archi a tutto sesto. I pilastri angolari, originariamente in pietra serena, furono poi rivestiti pure di marmo. Si tratta di uno spartito di gusto classico, usato già in altri monumenti romanici come la facciata di San Miniato al Monte, che testimonia il perdurare a Firenze della tradizione architettonica della Roma antica.
Disposizione simmetrica degli ordini architettonici e dei marmi colorati sulle facciate del Battistero
Nonostante il battistero sia considerato la matrice del “Romanico fiorentino”, alcune caratteristiche della sua architettura non hanno riscontro altrove. La disposizione di colonne e capitelli – differenziati per tipologia e per colore del marmo – non è né uniforme né casuale, ma come nella architetture della Tarda antichità è finalizzata a indicare precise gerarchie spaziali. All'interno l'asse principale est-ovest è indicato dal contrapporsi dell'arcone e della coppia di colonne con capitelli compositi ai lati della Porta del Paradiso (in tutti gli altri casi abbiamo invece capitelli corinzi, eccetto uno probabile frutto di restauro); un secondo asse di simmetria obliquo sudest-nordovest è invece indicato dai fiori dell'abaco dei capitelli corinzi di pilastro, che sono di tre tipi differenti. All'esterno le finestre a edicola si differenziano per forma, tipo di capitelli e colonne, e colore dei marmi impiegati, secondo un ordinamento molto complesso che distingue i lati obliqui da quelli volti ai punti cardinali e tra questi il lato est, con l'ingresso principale, differenziato in tutto dagli altri. La disposizione simmetrica di differenti tipi di capitelli si riscontra anche nei tre lati volti a sud dell'attico, verosimilmente eseguiti per primi perché rivolti alla città.
Le tre porte bronzee, realizzate secondo un programma figurativo unitario nell'arco di più di un secolo, mostrano la storia dell'umanità e della Redenzione, come in una gigantesca Bibbia figurata. L'ordine narrativo, sconvolto dal cambiamento di posizione delle singole porte, va dalle Storie dell'Antico Testamento nella porta est, a quelle del Battista nella porta sud, fino a quelle del Nuovo Testamento (Storie di Cristo) nella porta nord.
La porta è suddivisa in 28 formelle, disposte su sette file di quattro, con scene inquadrate da una cornice a losanga lobata (anche nota come «compasso gotico»). Le prime 20 formelle narrano episodi della vita di San Giovanni Battista, iniziando da quelle del battente sinistro (da 1 a 10) e proseguendo poi nel battente destro (da 11 a 20), mentre le altre 8 recano personificazioni delle tre virtù teologali (da 21 a 23) con l'aggiunta dell'Umiltà (24), nella penultima fila sui due battenti, e delle quattro virtù cardinali (da 25 a 28), nell'ultima fila di formelle in basso.
Realizzata dal 1330 al 1336, con questa opera lo scultore aggiornò la tipologia dei portali romanici inserendo nelle ventotto formelle quadrate cornici mistilinee (il cosiddetto "quadrilobo"), tipiche dell'arte gotica, racchiuse a loro volta da altre cornici quadrate. Ne risulta una continua tensione, tra linee rette e spezzate.
Per quanto riguarda le immagini vere e proprie, l'artista realizzò figure singole o gruppi con uno stile sobrio e raffinato, memore del gusto di Nicola e Giovanni Pisano. Ogni composizione rappresenta un'opera a sé stante, in cui da un fondo liscio si staccano i personaggi.
In particolare, la figura della Speranza, risponde appieno all'iconografia finora stabilita: è vista di profilo e il suo corpo è proteso verso il cielo, così come le sue braccia e il suo sguardo; anche se non si vede, si capisce che a porle la corona è un angelo; è anch'essa alata, ma al contrario dello slancio che pervadeva la Virtù giottesca (presente nella cappella degli Scrovegni a Padova), questa risulta seduta, sebbene il suo abito ricco di panneggi, lasci presagire un leggero spostamento verso l'angelo.
La cornice è stata portata a termine, su disegno di Lorenzo Ghiberti da suo figlio Vittorio Ghiberti, e dalla bottega. In essa si nasconde un messaggio teologico molto complesso che si può legare alle scene in vita (battente di destra per chi esce) e in morte (battente di sinistra) di Giovanni Battista.
La porta è coronata da un gruppo scultoreo, con il Battista col carnefice durante l'esecuzione e Salomè, di Vincenzo Danti (1571), restaurate nel 2008 e da allora conservate nel Museo dell'Opera del Duomo e sostituite da copie all'esterno. Sulle colonne ai lati della porta sud sono scolpiti in leggero bassorilievo due rettangoli: sono due misure di lunghezza in uso nell'alto medioevo: il piede longobardo ("piede di Liutprando") e quello fiorentino. Poco più avanti, sul lato sud vicino all'abside, si vede incassato alla base, sull'esterno, un sarcofago scolpito, forse di epoca romana, con una scena di navi e persone, probabilmente la rappresentazione della vendemmia e del carico di botti su una nave.
n modo analogo alla porta di Andrea Pisano, anche questa è suddivisa in 28 formelle, con scene inquadrate dalla medesima cornice a losanga lobata. Le prime 20 formelle superiori narrano storie del Nuovo Testamento, e si susseguono nelle file su entrambi i battenti e a partire dalla fila inferiore (da 1 a 20); le ultime due file mostrano i quattro evangelisti (penultima fila, da 21 a 24) e quattro Dottori della Chiesa (ultima fila, da 25 a 28). Questa porta si trovava originariamente ad est e fu spostata poi a nord vista la bellezza dell'ultima porta eseguita, la Porta del Paradiso.
Sulla porta nord si trova il gruppo con la Predica del Battista, di Giovanni Francesco Rustici (1506-1511), opera in cui l'artista dimostrò tutto il suo apprezzamento verso gli affetti morbidi e chiaroscurali derivati dal suo maestro Leonardo da Vinci: il dolce indicare l'alto del Battista è stato ad esempio messo in relazione con il San Giovanni del Louvre.
Sulla finestra centrale si trova l'emblema dell'Arte di Calimala, ovvero l'aquila che tiene con gli artigli una balla di mercanzie (il "torsello").
La porta è suddivisa in 10 ampi riquadri rettangolari, disposti su cinque file, ciascuno dei quali, con le incorniciature ornate da tondi con teste di profeti, occupa l'intera larghezza di un battente. I riquadri presentano scene dell'Antico Testamento, che si susseguono su entrambi i battenti da sinistra a destra e dall'alto in basso.
La porta fu danneggiata dall'alluvione del 1966 e i rilievi sono attualmente sostituiti da copie, mentre gli originali, restaurati, si trovano nel Museo dell'Opera del Duomo.
La porta è sormontata dal gruppo scultoreo del Battesimo di Gesù di Andrea Sansovino (1502) con angelo aggiunto di Innocenzo Spinazzi (1792) Presso la porta est (porta del Paradiso) sono presenti due colonne in porfido, attualmente spezzate, che furono donate da Pisa come ringraziamento per l'aiuto che Firenze le aveva prestato contro gli infedeli in una spedizione alle Baleari nel 1115.
L'interno è a pianta ottagonale, con un diametro di 25,6 metri. La decorazione interna è ispirata agli edifici romani, come il Pantheon, con un ampio uso di specchiature marmoree policrome. È suddivisa, come all'esterno, in tre fasce orizzontali, la più alta però coperta dalla cupola, mentre la fascia mediana è occupata dai matronei. Inferiormente le pareti sono suddivise verticalmente in tre zone per mezzo di lesene e di colonne monolitiche in granito e in marmo cipollino di spoglio (come gran parte dei marmi del rivestimento), con capitelli dorati che reggono l'architrave. Le pareti, tripartite da colonne e raccordate agli angoli da doppi pilastri scanalati in marmo, presentano un rivestimento marmoreo a due colori alternati in fasce e altre forme, bianco di Carrara e verde di Prato. Sopra le bifore si trovano tarsie geometriche, databili a prima del 1113, a giudicare dall'iscrizione sul sarcofago del vescovo Ranieri. La fonte battesimale in origine occupava il centro del pavimento, dove si trova un ottagono in cocciopesto. Il pavimento presenta tarsie marmoree di grande pregio, di gusto orientalizzante, con motivi geometrici, fitomorfi e zoomorfi spesso legati ad animali di fantasia, ispirati ai tessuti provenienti dal Mediterraneo meridionale e orientale. Essi furono realizzati in tutta probabilità dalle stesse maestranze che lavorarono anche, fino al 1207, in San Miniato al Monte. Dal 1048, su iniziativa di Strozzo Strozzi, esisteva nel battistero un orologio solare: attraverso un foro praticato nella cupola, i raggi solari colpivano nel corso dell'anno i segni dello zodiaco su una lastra di marmo collocata presso la porta nord, il riquadro zodiacale che oggi è in corrispondenza della porta est, in seguito al rifacimento del XIII secolo. Sulla lastra è riportato il verso palindromo "en giro torte sol ciclos et rotor igne".
Un'altra caratteristica del battistero che non ha riscontri nell'architettura romanico-gotica è la relazione architettonica tra le facciate, che – sia all'interno che all'esterno – non sono raccordate da nodi strutturali (gli attuali pilastri bicolori esterni sono un rifacimento: in origine erano in arenaria e separavano le facciate contigue incrostate di marmi), ma sono invece intese come unità bidimensionali indipendenti e solo accostate – all'interno addirittura separate da un vuoto angolare – in modo da esaltare l'architettura del battistero come puro solido geometrico.
Il rivestimento a mosaico della cupola fu impresa difficile e dispendiosa; i lavori iniziarono forse intorno al 1270 e si conclusero agli inizi del secolo successivo.
Presenta otto spicchi ed è rivestita da mosaico su fondo dorato. Su una fascia superiore sono raffigurate le gerarchie angeliche (2 nello schema) Su tre degli spicchi (1 nello schema) è raffigurato il Giudizio Universale, dominato dalla grande figura del Cristo: sotto i suoi piedi avviene la resurrezione dei morti, alla sua destra i giusti sono accolti in cielo dai patriarchi biblici, mentre alla sua sinistra si trova l'inferno con i suoi diavoli.
Gli altri cinque spicchi sono suddivisi in altri quattro registri orizzontali, dove sono raffigurate a partire dall'alto: storie della Genesi (3), storie di Giuseppe (4), storie di Maria e di Cristo (5) e storie di San Giovanni Battista (6).
Furono impiegate, secondo alcuni, maestranze veneziane, coadiuvate sicuramente da importanti artisti locali che fornirono i cartoni, come Coppo di Marcovaldo, autore dell'Inferno, Meliore per alcune parti del Paradiso, il Maestro della Maddalena e Cimabue, cui sono attribuite le prime storie del Battista.