Palazzo Vecchio si trova in piazza della Signoria a Firenze ed è la sede del comune della città. Rappresenta la migliore sintesi dell'architettura civile trecentesca cittadina ed uno dei palazzi civici più conosciuti nel mondo.
Chiamato in origine "Palazzo dei Priori", divenne nel XV secolo "Palazzo della Signoria", dal nome dell'organismo principale della Repubblica fiorentina; nel 1540 divenne Palazzo Ducale, quando il duca Cosimo I de' Medici ne fece la sua residenza; infine il nome Vecchio lo assunse dopo il 1565 quando la corte del Duca Cosimo si spostò nel "nuovo" Palazzo Pitti.
Dal 1865 al 1871 fu sede del Parlamento del Regno d'Italia, mentre oggi ospita il Sindaco di Firenze e vari uffici comunali. Vi si trova inoltre un museo, che permette di visitare le magnifiche sale dove lavorarono, fra gli altri, Agnolo Bronzino, Ghirlandaio, Giorgio Vasari, e dove sono esposte opere di Michelangelo Buonarroti, Donatello, Verrocchio.
L'edificio si è gradualmente ingrandito verso est, arrivando ad occupare un isolato intero e allungando l'iniziale parallelepipedo trecentesco fino a quadruplicarne le dimensioni, con una pianta che ricorda un trapezio del quale la facciata è solo il lato più corto. Sulla facciata principale a bugnato, la Torre di Arnolfo è uno degli emblemi della città.
Nell'antica città romana di Florentia si trovava in questo punto l'antico teatro romano, che aveva la platea semicircolare verso piazza della Signoria e la scena più o meno lungo l'attuale via dei Leoni.
Negli scavi ancora in corso (iniziati nei primi anni del 2000) sono state scavate una serie di stanze nei sotterranei, senza intaccare la muratura portante, che hanno dato alla luce vari resti di epoche diverse. Tra i più interessanti ci sono tre stanze, accessibili al pubblico dal dicembre 2008, dove sono state ritrovate tracce dei pavimenti del palco del teatro, con un pezzo di colonna che dovette rompersi quando venne abbattuta la scena. Sono stati scavati poi resti di pozzi più tardi, monete, anfore e gioielli e uno scheletro di fanciullo, che dovrebbe risalire al I secolo (studi sono in corso).
Nell'alto medioevo l'area era densamente edificata, con case e case-torri del tutto simili a quelle ancora visibili nel quadrilatero oltre la vicina via della Condotta.
Alla fine del XIII secolo la città di Firenze decise di costruire un palazzo in modo da assicurare ai magistrati un'efficace protezione in quei tempi turbolenti, ed al contempo celebrarne l'importanza. Il palazzo è attribuito a Arnolfo di Cambio, architetto del Duomo e della Basilica di Santa Croce, che iniziò a costruirlo nel 1299. Il palazzo al tempo chiamato Palazzo dei Priori fu costruito sulle rovine del Palazzo dei Fanti e del Palazzo dell'Esecutore di Giustizia, già posseduto dalla famiglia ghibellina degli Uberti, cacciata nel 1266. Incorporò l'antica torre della Vacca utilizzandola come parte bassa della torre nella facciata. Questa è la ragione per cui la torre rettangolare (94 m) non è nel centro dell'edificio. Dopo la morte di Arnolfo nel 1302, il palazzo fu portato a termine da altri due maestri, nel 1314. Inoltre nei sotterranei venivano usate come prigioni le antiche cavità sotto le arcate del teatro romano di Florentia.
Dal 26 marzo 1302 (a inizio dell'anno secondo il calendario fiorentino) il palazzo fu la sede della Signoria, ovvero del consiglio cittadino con a capo i Priori, e del gonfaloniere di giustizia, una via di mezzo tra un sindaco e un capo di governo con una carica che però durava per un periodo molto breve. La prima fase costruttiva si concluse nel 1315.
Il palazzo attuale è frutto di altre costruzioni e ampliamenti successivi, portati a termine fra il XIII ed il XVI secolo. Il Duca di Atene, Gualtieri VI di Brienne iniziò le prime modifiche nel periodo (1342-1343), ingrandendolo verso via della Ninna e dandogli l'aspetto di una fortezza. Altre modifiche importanti avvennero nel periodo 1440-60 sotto Cosimo de' Medici, con l'introduzione di decorazioni in stile rinascimentale nella Sala dei Dugento ed il primo cortile di Michelozzo. Il Salone dei Cinquecento fu costruito invece dal 1494 durante la repubblica di Savonarola.
Fra il 1540 e il 1550 fu la casa di Cosimo I de' Medici, il quale incaricò il Vasari di allargare ulteriormente il palazzo per assecondare le necessità della corte ducale. Il cantiere fu il luogo di fondamentali esperienze per molti artisti, fra cui Livio Agresti e Pier Paolo Menzocchi.
Il palazzo raddoppiò così il proprio volume per effetto delle aggiunte sulla parte posteriore. L'ultimo ampliamento risale alla fine del XVI secolo quando Battista del Tasso e Bernardo Buontalenti sistemarono la parte posteriore come si presenta oggi.
Il nome venne cambiato ufficialmente quando Cosimo si spostò a Palazzo Pitti nel 1565 e chiamò la precedente residenza Palazzo Vecchio mentre la piazza della Signoria mantenne il proprio nome. Vasari inoltre costruì un percorso, il Corridoio Vasariano, che collega ancor oggi Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti attraversando l'Arno sul Ponte Vecchio. Cosimo I inoltre spostò l'amministrazione governativa e le magistrature negli adiacenti Uffizi.
Il palazzo guadagnò nuova importanza quando fu sede del Senato e della Camera dei deputati del Regno d'Italia nel periodo 1865-71, quando Firenze divenne capitale del Regno d'Italia.
La gran parte di Palazzo Vecchio è attualmente un museo, ma è rimasto il simbolo del governo locale, essendo infatti ancor oggi sede del Comune di Firenze e del consiglio comunale.
La facciata principale dà l'impressione di solidità anche grazie alla finitura esterna di bugnato rustico in pietraforte. È divisa in tre piani principali da cornici marcapiano, che sottolineano due file di bifore marmoree neogotiche con archetti trilobati, aggiunte nel Settecento in sostituzione di quelle originarie.
La parte antica è coronata da un ballatoio aggettante sostenuto da beccatelli su archi a tutto sesto e caratterizzato da una merlatura di tipo guelfo (con la sommità squadrata), mentre la torre ha una merlatura ghibellina ("a coda di rondine"). Ciascun beccatello era decorato da una testa scolpita, umana o animale, delle quali rimangono ancora visibili alcuni esemplari in bronzo. Alcuni di questi archi sono dotati di caditoie che potevano essere utilizzate, a scopo difensivo, per gettare su eventuali invasori olio bollente o pietre.
Nelle quattro cantonate del ballatoio si trovavano altrettante nicchie con marzocchi in pietra. La porta-finestra e il terrazzino sono aggiunte tarde.
La pedana rialzata davanti al palazzo è il cosiddetto arengario o aringhiera, una zona che prende il nome dalla "ringhiera" che un tempo lo recintava e che fu eliminata durante i restauri ottocenteschi di Giuseppe Del Rosso. La scalinata stessa girava anche sul lato sinistro, ma venne tagliata con gli interventi rinascimentali. Da questo luogo i priori assistevano alle cerimonie cittadine sulla piazza. Durante il governo del Duca d'Atene (1342-1343) l'aringhiera venne ulteriormente difesa da due antiporte e altri elementi. Fin dal Quattrocento venne decorato da sculture che, se non sostituite da copie o leggermente spostate, vi si possono ancora ammirare.
Le più antiche sono il Marzocco e la Giuditta e Oloferne (1455-60 circa), entrambe opere di Donatello, sostituite da copie per la loro preziosità (il Marzocco è conservato al Bargello, la Giuditta dentro il palazzo). Queste statue un tempo si trovavano più avanti sulla piazza.
Il David di Michelangelo marcò l'ingresso dal 1504, anno del suo completamento, fino al 1873 quando venne spostato all'Accademia. Una copia è al suo posto dal 1910, fiancheggiato dall'Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, scultore che venne molto criticato per la sua "sfrontatezza" ad accostare una sua opera al capolavoro michelangiolesco.
Davanti agli stipiti del portale si trovano i due Termini marmorei, quello maschile di Vincenzo de' Rossi e quello femminile di Baccio Bandinelli che riprendono una tipologia della statuaria classica: essi in antico sostenevano una catena che serviva a sbarrare l'ingresso.
Sopra il portale principale campeggia frontespizio decorativo in marmo datato 1528, con il monogramma raggiato di Cristo Re. Al centro, affiancato da due leoni, c'è il trigramma di Cristo, circondato dalla scritta Rex Regum et Dominus Dominantium (Gesù Cristo, Re dei Re e Signore dei Signori). Questa iscrizione, fatta mettere dal gonfaloniere Niccolò Capponi nel 1551, risale al tempo di Cosimo I e sostituiva l'iscrizione precedente ispirata da Savonarola: anche se non tutte le fonti sono concordi circa l'antica trascrizione, doveva suonare qualcosa come Iesus Christus rex florentini populi S.P. decreto electus, intendendo cioè che Cristo era il sovrano della città e che (sottinteso) nessuno avrebbe mai osato "spodestare" il Cristo prendendo il comando di Firenze. Cosimo I la fece sottilmente sostituire con quella presenza, indicando Cristo sì Re, ma Re dei re e Signore dei signori.
Un'altra targa in bronzo ricorda il plebiscito del 15 marzo 1860 che permise l'unione della Toscana al Regno d'Italia.
Sotto gli archi del ballatoio nel 1353 vennero dipinti una serie di stemmi che simboleggiano alcuni particolari aspetti della Repubblica fiorentina e ancora oggi fotografano, in certo senso, la situazione politica trecentesca.
La serie di nove stemmi si ripete due volte sulla facciata e due stemmi si ritrovano anche sul lato sinistro.
Il primo che si incontra da sinistra è la croce rossa in campo bianco, che rappresenta le insegne del popolo fiorentino e segnala le cose pubbliche a Firenze.
Successivamente si incontra il giglio fiorentino rosso in campo bianco, attuale simbolo cittadino, adottato dai guelfi ai tempi della cacciata dei ghibellini nel 1266, ribaltando lo stemma ghibellino, dipinto un po' più avanti, che rappresenta un giglio bianco (come se ne trovano numerosi nella campagna di Firenze) in campo rosso.
Il successivo stemma è partito verticalmente tra bianco e rosso e rappresenta il legame tra Fiesole (il cui stemma è in campo bianco) e Firenze (il cui antico stemma era in campo rosso, appunto), che i fiorentini hanno ricordato sempre come un rapporto di madre/figlia.
Il quarto stemma sono le chiavi d'oro in campo rosso e rappresenta la fedeltà verso il papato. Il quinto simboleggia la Signoria, con la scritta Libertas d'oro in campo azzurro, motto della libertà e indipendenza cittadina.
La successiva aquila rossa in campo bianco che aggrinfia un drago verde è lo stemma della Parte Guelfa. Le città guelfe erano caratterizzate nel medioevo da uno stemma bianco/rosso (Firenze, Lucca, Pistoia...), mentre quelle ghibelline generalmente presentavano come colori il bianco e il nero (Siena e Arezzo).
Dopo il già citato giglio bianco in campo rosso, antico simbolo ghibellino della città, troviamo lo stemma del Re di Francia, i tre gigli d'oro in campo azzurro, di Carlo e Roberto d'Angiò, primi podestà stranieri della città.
L'ultimo stemma, partito a fasce nero/oro e gigli d'oro in campo azzurro è l'arma di Ludovico d'Angiò, re d'Ungheria.
Sul lato sinistro sopra i peducci degli archetti si trovano anche alcune figure zoomorfe in bronzo. Queste sculture, già in pietra serena, sono teste leonine e altre figure.
La torre di Palazzo Vecchio fu costruita verso il 1310 quando il corpo del palazzo era quasi terminato. Posta sulla facciata (ispirandosi probabilmente al Castello dei Conti Guidi a Poppi), si appoggia solo in parte alle murature sottostanti, presentando il lato frontale costruito completamente in falso (cioè sporgente rispetto alle strutture sottostanti) con una soluzione architettonica insieme audacissima ed esteticamente soddisfacente.
Alta circa 94 metri, la torre non è centrata sulla facciata ma è decentrata verso il lato sud della stessa (verso destra per chi guarda frontalmente il palazzo) perché poggia su una casa-torre preesistente appartenuta ai Foraboschi detta "della Vacca" a causa del nomignolo affibbiato dai Fiorentini alla grossa campana che la sormontava (la vicina via che congiunge piazza della Signoria a via Por Santa Maria si chiama via Vacchereccia sempre a causa di tale campana). La presenza della torre è ancora oggi distinguibile dalle finestre murate presenti sulla parte di facciata sottostante la torre di Arnolfo.
Il retro dell'edificio ben mostra la successione di ampliamenti avvenuta nei secoli; Nell'angolo superiore la Terrazza di Saturno
Il corpo della torre, oltre alle scale, presenta un piccolo vano denominato l'Alberghetto dentro il quale vennero tenuti prigionieri, tra gli altri, Cosimo il Vecchio prima di essere condannato all'esilio (1433) e Girolamo Savonarola prima di essere impiccato ed arso in piazza il 23 maggio 1498.
Il ballatoio della cella campanaria, con merli ghibellini (a coda di rondine), è sostenuto da mensoloni con archetti ogivali, sopra il quale poggia un'edicola con archi a tutto sesto sostenuti da quattro massicce colonne in muratura sormontate da capitelli a foglie. Nella cella sono attaccate tre campane:
Sulla sommità si trova una grande banderuola (più di due metri d'altezza) a forma di Marzocco che tiene l'asta sormontata dal giglio fiorentino: si tratta di una copia, l'originale può essere ammirato in tutta la sua grandezza all'interno del palazzo.
Guardando le mensole che sostengono la balconata della torre dal basso si ha la strana sensazione che quelle d'angolo non poggino su niente, come piccole piramidi capovolte: è un curioso effetto ottico causato dalle ombre agli spigoli.
Il grande orologio fu originariamente costruito dal fiorentino Nicolò Bernardo, ma rimpiazzato nel 1667 da uno realizzato da Giorgio Lederle di Augusta e montato da Vincenzo Viviani, che è tuttora funzionante.