La basilica di Santa Croce, nell'omonima piazza a Firenze, è una delle più grandi chiese officiate dai francescani e una delle massime realizzazioni del gotico in Italia. È nota come Tempio dell'Itale glorie e cioè il Tempio della Gloria Italiana, per le numerose sepolture di sommi artisti, letterati e scienziati che racchiude.Nonostante sia una chiesa cattolica, vi sono anche sepolture di persone non credenti, come lo stesso Foscolo. La prima personalità qui inumata fu Leonardo Bruni, mentre l'ultima persona sepolta effettivamente in Santa Croce fu Giovanni Gentile nel 1944, ma nel dopoguerra verranno apposte delle targhe commemorative, come quella per Enrico Fermi, la cui tomba si trova negli Stati Uniti dove morì nel 1954.
Santa Croce è un simbolo prestigioso di Firenze, il luogo di incontro dei più grandi artisti, teologi, religiosi, letterati, umanisti e politici, che determinarono, nella buona e cattiva sorte, l'identità della città tardo-medievale e rinascimentale. Al suo interno trovarono inoltre ospitalità celebri personaggi della storia della Chiesa come san Bonaventura, Pietro di Giovanni Olivi, sant'Antonio da Padova, san Bernardino da Siena, san Ludovico d'Angiò. Fu anche luogo d'accoglienza per pontefici come Sisto IV, Eugenio IV, Leone X, Clemente XIV. Ha il rango di Basilica minore.Qui è celebre la tomba di Dante Alighieri, il padre della letteratura italiana.
San Francesco d'Assisi visitò Firenze già nel 1211, percorrendo la via Cassia. Nel 1226-1228 con un gruppo di suoi seguaci si stabilì in città, scegliendo una zona inospitale subito fuori le mura, al centro di un'isoletta formata da due bracci dell'Arno che si separavano vicino all'attuale piazza Beccaria, per ricongiungersi davanti alle mura che passavano all'altezza di via Verdi-via de' Benci. Qui fondarono un oratorio che, al crescere della comunità di frati, fu prima ingrandito e poi, dal 1252, completamente ristrutturato.
Tali lavori provocarono vivaci controversie tra i frati, tra chi voleva un edificio essenziale e povero, in linea con la Regola, e chi un'architettura più ampia. In ogni caso la nuova chiesa si rese presto inequivocabilmente insufficiente, per cui nel 1294 si decise di ricostruire ex-novo l'edificio, con un grandioso progetto elaborato probabilmente da Arnolfo di Cambio, l'architetto impegnato in quegli anni nei più grandiosi progetti del Comune. Giovanni Villani ricordò come la chiesa venne fondata il 3 maggio di quell'anno, alla presenza di "molti vescovi e prelati e chierici e religiosi e il podestà e il capitano del Popolo e priori e tutta la buona gente di Firenze, uomini e donne, con grande festa e solennità". Si iniziò a lavorare dall'abside, lasciando temporaneamente in uso ai frati la vecchia chiesa, finché fu possibile. I resti dell'antico edificio sono stati localizzati nel 1966, a seguito del cedimento del pavimento della basilica dopo l'alluvione di Firenze.
Sull'attribuzione ad Arnolfo di Cambio non abbiamo documenti scritti che lo confermino, ma la critica ha confermato ormai l'attribuzione tradizionale, sia per l'elevato livello qualitativo del complesso, sia per le analogie con altre opere del grande architetto. Fu edificata a spese della popolazione della Repubblica fiorentina. Alla morte di Arnolfo nel 1302 doveva essere completata la parte del coro e del transetto, con le cappelle. Procedendo con speditezza, i lavori nel 1320 resero la basilica utilizzabile, ma in seguito, le vicende della crisi, dell'alluvione e della peste, ne rallentarono vistosamente il completamento. Non si sa esattamente quando la basilica fu terminata, forse attorno al 1385. Fu comunque consacrata solo durante l'epifania del 1443 dal cardinale Bessarione, alla presenza di papa Eugenio IV.
Il convento nacque praticamente in contemporanea alla basilica. Al nucleo iniziale si aggiunsero presto la sagrestia, il dormitorio, l'infermeria, la foresteria, il refettorio e la biblioteca
La basilica ha continuato ad essere arricchita e modificata nei sette secoli dalla sua fondazione, acquisendo sempre nuovi connotati simbolici: da chiesa francescana a "municipio" religioso per le grandi famiglie e le corporazioni, da laboratorio e bottega artistica a centro teologico, da "pantheon" delle glorie italiane a luogo di riferimento della storia politica dell'Italia pre e post-unitaria. Alcune trasformazioni infatti furono conseguenza di precise vicissitudini storiche e politiche, come le trasformazioni compiute dal Vasari alla metà del XVI secolo (causate anche dai restauri dopo una disastrosa alluvione) o l'impegno profuso nell'Ottocento per trasformare Santa Croce nel grande mausoleo della storia italiana.
Nel 1966 l'alluvione di Firenze inflisse gravissimi danni al complesso della basilica e del convento, situati nella parte più bassa di Firenze, tanto da diventare tristemente nota come simbolo delle perdite artistiche subite dalla città (soprattutto con la distruzione del Crocifisso di Cimabue), ma anche della sua rinascita dal fango, attraverso la capillare opera di restauro e di conservazione.
La basilica è rialzata dal suolo di otto gradini.
Originariamente la facciata era incompiuta, come in molte basiliche fiorentine. La parete di pietraforte a vista assomigliava molto a quello che ancora si vede a San Lorenzo, sebbene di forma e proporzioni diverse. Nel Quattrocento, la famiglia Quarratesi si era fatta avanti per finanziare la realizzazione della facciata affidandola a Simone del Pollaiolo detto Il Cronaca. La condizione era però che lo stemma Quaratesi apparisse bene in vista al centro del fronte principale, ma questa richiesta scoraggiò i frati francescani dall'accettare la proposta e la ricca famiglia decise così di dedicarsi all'abbellimento di un'altra chiesa francescana, San Salvatore al Monte. L'aspetto della vecchia facciata incompiuta ci è testimoniato da stampe, dipinti e foto d'epoca: oltre allo stemma di Cristo sopra il rosone (posto nel 1437 durante una grave pestilenza), in una nicchia al centro del semplice portale centrale, come unica decorazione, si trovava la statua di bronzo dorato di San Ludovico di Tolosa di Donatello, già in una nicchia di Orsanmichele, che oggi si può ammirare nel refettorio del convento.
La facciata odierna fu realizzata tra il 1853 e il 1863 ad opera dell'architetto Niccolò Matas, che si ispirò alle grandi cattedrali gotiche come il duomo di Siena e il duomo di Orvieto, rivisti alla luce della sua epoca. Il risultato finale di stile neogotico riscosse molti apprezzamenti e valse al Matas, da parte dall'Associazione toscana, l'incarico di redigere un progetto per la facciata di S. Maria del Fiore (1842); a tutt'oggi non sempre è giudicato positivamente; tuttavia alcuni studiosi ne evidenziano la semplicità e il carattere umile a confronto con il successivo progetto di Emilio De Fabris per la facciata di Santa Maria del Fiore.
Si trattò tutto sommato di un cantiere che non provocò perdite di antichi manufatti e che coronò grandiosamente la piazza, alimentando il mito di Santa Croce in Italia e all'estero. Il cantiere fu finanziato in larga parte dal facoltoso protestante inglese Sir Francis Joseph Sloane. La stella di Davide inserita nel timpano della facciata, pur non sconosciuta come simbolo cristiano, viene generalmente intesa come un'allusione alla fede religiosa ebraica dell'architetto Matas.
Tra le opere d'arte che appaiono sulla facciata spiccano le tre lunette dei portali, che ricordano la leggenda della Vera Croce, alla quale la chiesa è dedicata: da sinistra sono il Ritrovamento della Croce di Tito Sarrocchi, il Trionfo della Croce di Giovanni Duprè e la Visione di Costantino di Emilio Zocchi (Santa). Il portale centrale ha le porte bronzee che fino al 1903 erano sul Duomo. Davanti al portale si trova la sepoltura di Matas.
Inconfondibile è il profilo esterno della basilica, coi fianchi ritmati dai nudi timpani triangolari delle false campate della navata (la copertura non è infatti a volta, secondo lo stile paleocristiano che Arnolfo aveva visto a Roma). Su ciascun scomparto si apre un'alta bifora, mentre il paramento è in semplice pietraforte a vista, decorato solo da pluviali a forma di teste umane o leonine, oggi molto sciupati.
Sul fianco sinistro è addossata alla basilica un porticato trecentesco, detto delle Pinzochere, che venne restaurato e ingrandito a metà dell'Ottocento. Sotto di esso, oltre all'ingresso e la biglietteria per la basilica, si possono vedere numerosi stemmi gentilizi incassati nella parete e due monumenti funebri più consistenti: quello di Alamanno Caviccioli, del 1337 circa, e, oltre la porta laterale, quello di Francesco de' Pazzi di un seguace di Tino di Camaino, con un sarcofago poggiante su cariatidi.
Un portico analogo si trova anche sul lato destro, affacciato sul Chiostro Grande.
Le cuspidi triangolari proseguono anche sul lato tergale, ma sono visibile solo dal giardino interno dell'isolato, che è privato (l'unico modo per accedervi è passare dalla Scuola del Cuoio o dalla scuola elementare), o da lontano, come dal piazzale Michelangelo.
L'esile campanile risale solo al 1847-1865, opera di Gaetano Baccani; anche qui, come per la facciata, il progetto quattrocentesco, affidato a Baccio Bandinelli si era risolto in un niente di fatto. La realizzazione ottocentesca viene giudicata generalmente come abbastanza graziosa per la sua defilata semplicità, anche se la decorazione con la ghiera sulla cuspide rivela l'ispirazione eclettica moderna. La struttura raggiunge un'altezza totale di 78,45 m.
L'interno di Santa Croce è apparentemente semplice e altamente monumentale al tempo stesso, con tre navate divise da due file di grandi pilastri a base ottagonale. L'interno, ampio e solenne, ha una forma di croce "egizia" (o commissa) cioè a "T", tipico di altre grandi chiese conventuali, con un transetto particolarmente esteso (73,74 m) che taglia la chiesa all'altezza dell'abside poligonale. Anticamente il transetto, dalla quinta campata in poi, era destinato ai soli presbiteri, con un tramezzo che separava questa area da quella per i fedeli e che venne rimosso, come in moltissime altre chiese, dopo le disposizioni del Concilio di Trento. Se ne occupò Giorgio Vasari nel 1566, quando predispose sull'incarico di Cosimo I un ampio progetto di ammodernamento per applicare le direttive della Controriforma. Andò così distrutto anche il coro davanti alle pareti e molti affreschi trecenteschi sulle pareti della navata vennero scialbati (come quelli di Andrea Orcagna, dei quali sono stati trovati frammenti oggi esposti nel Museo della basilica), sostituiti da grandi altari laterali di forma classicheggiante.
La grandiosa navata centrale (115,43 x 38,23 m) segna una tappa fondamentale nel percorso artistico e ingegneristico che condurrà alla navata di Santa Maria del Fiore. I muri sottilissimi, sostenuti da archi a sesto acuto su pilastri ottagonali, richiamano le basiliche paleocristiane di Roma dove Arnolfo lavorò a lungo, ma la scala è infinitamente più grande e i problemi strutturali costituirono una vera e propria sfida alle capacità tecniche del tempo. La risoluzione di questi problemi costituì un precedente importante per la grande sfida della costruzione del corpo basilicale della cattedrale cittadina.
In particolare il ballatoio che corona le arcate e cinge la navata centrale non è solo un espediente stilistico per accentuare l'andamento orizzontale della costruzione e frenare il goticismo allora poco gradito a Firenze, ma costituisce un legamento strutturale per tenere assieme le esili membrature e i vasti specchi murari.
Il soffitto a capriate, ingannevolmente "francescano", richiese un complicato congegno strutturale data l'enorme luce libera e il peso che rischiava di soverchiare le sottili murature.
Arnolfo, rispettando in qualche modo lo spirito francescano, disegnò una chiesa con una pianta volutamente spoglia, con ampie aperture destinate all'illuminazione delle pareti sulle quali, come già in altre chiese francescane prima fra tutte quella di Assisi, dovevano essere affrescati grandi cicli figurativi destinati a narrare al popolo analfabeta le Sacre scritture (la cosiddetta Bibbia dei Poveri). Ma la grande chiesa, costruita con i contributi delle principali famiglie fiorentine, non dispone delle consuete tre cappelle al capocroce, ma ne allinea ben undici, più altre cinque dislocate alle estremità del transetto. Queste cappelle erano destinate alle sepolture dei donatori e ricevettero ricchissime decorazioni murali per mano dei maggiori maestri dell'epoca.
La Cappella Maggiore si ispira all'architettura gotica più pura di matrice transalpina, pur mediata dalla sobrietà all'italiana, con un forte slancio verticale, sottolineato dalle nervature a ombrello nella volta e dalle strette bifore, estremamente lunghe. Gli affreschi che la decorano sono le Storie dell'invenzione della vera croce, un tributo al nome della chiesa, realizzati da Agnolo Gaddi attorno al 1380.
Di Agnolo Gaddi sono anche i disegni per le vetrate, tranne gli oculi più alti, che sono più antichi. La croce dipinta è del Maestro di Figline, mentre il polittico dell'altare maggiore è frutto di una ricomposizione: la Madonna al centro è di Niccolò Gerini, mentre i Dottori della Chiesa sono di Giovanni del Biondo e di un altro pittore sconosciuto.
Ma ben più importanti sono gli affreschi nelle due successive cappelle a destra, la Cappella Peruzzi e la Cappella Bardi, entrambe decorate da Giotto tra il 1320 e il 1325. Nella prima sono raffigurate le Storie di San Giovanni Battista e quelle di San Giovanni Evangelista, mentre in quella Bardi le Storie di san Francesco. Entrambi i cicli di affreschi furono eseguiti in tarda età dal maestro rinnovatore dell'arte occidentale e rappresentano una summa della sua opera pittorica e un testamento artistico, che molto influenzerà le generazione successiva dei pittori fiorentini (per esempio Domenico Ghirlandaio 150 anni dopo si rifece ancora agli schemi della Cappella Bardi per creare le scene francescane della Cappella Sassetti in Santa Trinita). I particolari che rivelano la mano del maestro sono la straordinaria spazialità, resa con grande padronanza della disposizione delle figure nella scena e la resa drammatica della narrazione sottolineata dall'espressività dei personaggi. Per esempio nella scena della Morte di San Francesco i confratelli del Santo si disperano davanti alla salma distesa, con gesti ed espressioni incredibilmente realistici.
La vetrata della cappella Bardi, disegnata da Jacopo del Casentino, proviene dalla vicina Cappella Velluti.
Le altre tre cappelle di destra sono: la Cappella Giugni, con le tombe di Julie Clary (opera di Luigi Pampaloni) e di sua figlia Charlotte Napoléone Bonaparte (con busto di Lorenzo Bartolini); la Cappella Riccardi, che conserva il busto-reliquiario in argento della Beata Umiliana de' Cerchi e affreschi sulla volta e sulle lunette di Giovanni da San Giovanni e tre tele della fine del Cinquecento/inizio del Seicento: a destra l'Estasi di San Francesco di Matteo Rosselli, sull'altare il Ritrovamento della Croce di Giovanni Bilivert e sulla parete sinistra l'Elemosina di San Lorenzo di Domenico Passignano; la Cappella Velluti, con affreschi trecenteschi di autore ignoto e un polittico sull'altare di Giovanni del Biondo con predella di Neri di Bicci.
Sempre a destra, alla testata del transetto, si trova la cappella Baroncelli, composta da due campate (una ampia la metà dell'altra) e affrescata da Taddeo Gaddi con Storie della Vergine (1332-1338), dove il grande discepolo di Giotto condusse i suoi studi sulla luce (con la prima raffigurazione pervenutaci di una scena notturna nell'arte occidentale) e autore anche dei disegni per la vetrata, delle quattro profeti all'esterno e forse anche della pala d'altare, da alcuni attribuita a Giotto. Sulla parete destra si trova una Madonna della cintola, affrescata da Sebastiano Mainardi. Alla famiglia Baroncelli apparteneva la tomba gotica posta sulla parete esterna, opera di Giovanni di Balduccio del 1327, lo stesso autore delle statuette dell'Arcangelo Gabriele e dell'Annunziata sui pilastri dell'arcata. La scultura della Madonna col bambino dentro la cappella è di Vincenzo Danti (1568).
La Cappella Castellani, a doppia campata, invece fu affrescata da suo figlio Agnolo Gaddi con aiuti e presenta Storie dei santi Antonio Abate, Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Nicola di Bari. Il tabernacolo della cappella è opera di Mino da Fiesole, mentre la Croce dipinta è di Niccolò Gerini. Le statue di scuola robbiana rappresentano San Francesco e San Domenico, mentre tra le lastre tombali spicca quella a Luisa Stolberg contessa d'Albany, opera di gusto neorinascimentale di Luigi Giovannozzi e Emilio Santarelli su disegno di Charles Percier (1824 circa).
Per quanto riguarda le cappelle di sinistra, partendo dalla Cappella Maggiore, si incontrano: la Cappella Spinelli, ridecorata nel 1837 da Gasparo Martellini; la Cappella Capponi, dedicata nel 1926 alle madri dei Caduti di guerra e decorata da statue di Libero Andreotti; la Cappella Ricasoli, che presenta affreschi del primo Ottocento con le Storie di sant'Antonio da Padova, opera di Luigi Sabatelli e dei suoi figli Francesco e Giuseppe; la Cappella Pulci-Berardi, che è affrescata da Bernardo Daddi con il Martirio di san Lorenzo e il Martirio di santo Stefano (1330 circa) e contiene una terracotta policroma invetriata di Giovanni della Robbia sull'altare; l'ultima della serie è la Cappella Bardi di Vernio, affrescata da Maso di Banco con le Storie di san Silvestro, tra le migliori opere in assoluto della scuola di Giotto (anche le vetrate sono su disegno di Maso).
Sull'altare si trova il trittico di Giovanni del Biondo con San Giovanni Gualberto e storie della sua vita e la parete di sinistra presenta due tombe entro nicchioni, affrescati rispettivamente con un Giudizio finale con ritratto di Bettino de' Bardi inginocchiato, opera probabilmente pure di Maso di Banco (1367 circa), e Deposizione e ritratto della donatrice di Taddeo Gaddi.
Si chiama "dei Bardi di Vernio" anche la cappella alla testa del transetto, dove è conservato il Crocifisso di Donatello che diede luogo ad una disputa, secondo il Vasari, fra lui e Filippo Brunelleschi: egli giudicò questo Cristo troppo rozzo e contadino e realizzò come termine di paragone l'unica sua scultura lignea a noi pervenuta, il Crocifisso che ora si trova nella Cappella Gondi della basilica di Santa Maria Novella. La cappella ha la cancellata originaria del 1335, inoltre vi sono collocati il ciborio e i due angeli in legno dorato che all'epoca di Vasari erano stati creati per decorare l'altare maggiore della chiesa. La parete esterna ospita un sarcofago trecentesco di scuola pisana.
Accanto a questa cappella, sempre alla testa del transetto, si trova la Cappella Niccolini, eretta da Giovanni Antonio Dosio nel 1584, con una cupola affrescata dal Volterrano, statue di Pietro Francavilla e due pale di Alessandro Allori. Infine, sul lato ovest del transetto sinistro, si trova la Cappella Machiavelli-Salviati, con la pala d'altare raffigurante il Martirio di san Lorenzo di Jacopo Ligozzi; conserva varie tombe all'interno, tra le quali spicca quella della contessa Sofia Zamoyska di Lorenzo Bartolini (1837-1844), in stile neorinascimentale aggiornato con un tocco di realismo nel lenzuolo scomposto.
Poco avanti, sul pavimento del transetto, resta la lastra tombale di Bartolomeo Valori, opera di Lorenzo Ghiberti oggi molto consunta (1427 circa).
Uscendo dalla testa del transetto destro si passa dal portale disegnato da Michelozzo, architetto prediletto della famiglia Medici, con ante intagliate da Giovanni Di Michele e sormontato da un frammento di affresco con la Disputa del Tempio di Taddeo Gaddi. Si giunge così all'androne del Noviziato, che porta alla Sagrestia ed alla Cappella Medici.
L'androne e la cappella sono opera di Michelozzo per i Medici, come testimoniano i numerosi stemmi della famiglia, su commissione di Cosimo il Vecchio nel 1445 circa. La copertura dell'androne è a botte e sul lato sinistro ha una panca in pietra che ricorda quella della Cappella Pazzi. Sulla porta per la cappella si trova una lunetta affrescata con la Madonna col Bambino e santi, attribuita a Fra Bartolomeo. La parete destra è decorata anche dalla grande pala della Deposizione di Alessandro Allori. Il pavimento è composto da lastra tombali di marmo e sulla parete sinistra si trova un monumento a Lorenzo Bartolini (che è invece sepolto nella Cappella di San Luca nella basilica della Santissima Annunziata).
La Cappella Medici, o "del Noviziato", ha una decorazione molto semplice ed essenziale, a base rettangolare coperta da volte e con una scarsella che racchiude l'altare. La pala principale della cappella è la terracotta invetriata di Andrea della Robbia con la Madonna col Bambino tra angeli e santi, risalente attorno al 1480. La vetrata è su disegno di Alesso Baldovinetti. Sulla parete destra si trova il monumento a Francesco Lombardi, composto con più frammenti quattrocenteschi, tra i quali una Madonna col Bambino e angeli della scuola di Donatello.
Da qui si accede anche alla grande sacrestia, un grande ambiente coperto a capriate e ricco di affreschi. Gli armadi lignei sono quattrocenteschi, con intarsi di Michele di Giovanni da Fiesole ed espongono oggi reliquiari e corali miniati. Più antico è il banco d'angolo, trecentesco, che faceva forse un tutt'uno con l'armadio a sportelli dipinti per reliquie, le cui formelle con quadrilobi dipinti da Taddeo Gaddi sono oggi nella Galleria dell'Accademia.
Sopra la decorazione geometrica della parte inferiore, si dispone sulla parete sud una serie di scene della vita di Cristo eseguite da alcuni dei più importanti pittori della scuola giottesca: Niccolò Gerini (Ascensione, Resurrezione), Taddeo Gaddi (la Crocefissione) e Spinello Aretino (Salita al Calvario). Sulla sinistra il lavabo in marmo è opera di Pagno Portigiani, mentre il busto in terracotta policroma, raffigurante il Redentore, è opera di Giovanni della Robbia.
Sul lato est, in corrispondenza delle vetrate che danno luce alla stanza, si apre la grande Cappella Rinuccini, con gli affreschi eseguiti tra il 1363 e il 1366 da Giovanni da Milano (alcuni li attribuivano a Spinello Aretino). La parete destra presenta le Storie della Maddalena e quella di sinistra le Storie della Vergine, con la parte inferiore completata da Matteo di Pacino. Benché l'affresco non fosse il tipo di pittura congeniale del grande continuatore della pittura giottesca Giovanni da Milano, in queste opere è comunque significativamente apprezzabile la ricchezza della sua gamma cromatica calda e pallida (a differenza dei pittori contemporanei fiorentini, più fedeli ai forti toni del rosso e del blu), superfici lisce e sfumate delicatamente, scene maestose e composte. Il polittico sull'altare è di Giovanni del Biondo. La cancellata della cappella è originale e risale al 1371.
Durante i lavori di restauro condotti da Giorgio Vasari verso la metà del XVI secolo, furono costruite nella basilica due cantorie marmoree simmetriche contrapposte; quella di destra rimase vuota, mentre quella di sinistra venne dotata di un organo a canne, realizzato dall'organaro toscano Onofrio Zefferini tra il 1575 e il 1579 (e inaugurato il 6 giugno dello stesso anno), con cassa progettata dallo stesso Vasari. Nel 1929, lo strumento, che aveva mantenuto le sue caratteristiche originarie quasi invariate, venne demolito e la Pontificia Fabbrica d'organi Comm. Giovanni Tamburini incaricata di costruire un organo più grande seguendo gli standard stilistici e fonici dell'epoca (opus 368). Quindi, sulla cantoria destra, rimasta vuota nel corso dei secoli, venne costruita una cassa per accogliere parte delle canne riproponendo lo schema di quella del Vasari che, riadattata, rimase sulla sua cantoria e accolse parte del nuovo materiale fonico. Durante l'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, la consolle venne irreparabilmente danneggiata come anche furono distrutte le centraline elettroniche; il materiale danneggiato fu sostituito con un importante intervento di restauro, dopo il quale l'organo tornò a suonare. Un altro restauro importante è stato condotto dalla ditta Mascioni nel 2009-2010. Attualmente (2011) l'organo, a trasmissione elettronica revisionata dalla ditta Mascioni, ha quattro tastiere di 61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32.