Il cantiere navale di Stifone è un sito archeologico, si suppone di origine addirittura Etrusca, rinvenuto nel 1969 in Umbria, in località Le Mole del comune di Narni (TR), all'interno di un canale artificiale adiacente al corso del Nera, circa 900 metri più a valle rispetto alla frazione di Stifone. La sua posizione è a ridosso di quello che era il porto fluviale dell'antica Narnia. Alcuni di questi resti sono ancora visibili nell'alveo del fiume.
È verso la fine degli anni Sessanta che il prof. Alvaro Caponi, dopo avere acquistato un vecchio molino sul fiume Nera, in località Le Mole (a Nera Montoro di Narni), si accorse, dopo una piena invernale, che il fondale del fiume si era ripulito lasciando affiorare una grossa struttura in pietra sulla sponda destra, che egli fotografò nel 1969. Il prof. Caponi pensò subito che si trattasse dei resti del porto fluviale citato da Fulvio Cardoli, porto che non poteva essere cercato più a monte dove il fiume, restringendosi in piccola cascata, diventa impetuoso e non navigabile. Sarà però soltanto nel 1992 che l'archeologo locale e speleologo Roberto Nini e, qualche anno dopo, Daniela Monacchi, in qualità di Soprintendente archeologico dell'Umbria, nomineranno il porto, riportando le indicazioni di Cardoli, in un'ottica più contestualizzata alla storia del territorio. Del resto il gesuita Cardoli aveva fornito delle coordinate precise, dicendo: “ Esistono ancor oggi, in ripa ad esso fiume, passato il Castel di Taizzano, un tre miglia da Narni, alcune vestigia del porto, dove alfin la Nera, dopo aver lottato, strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro l'impaccio degli scogli e de' sassi del suo letto, incomincia a sostenere le barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo sasso, ai quali siccome a palo ferrato legavansi le barche ”.
Tornando al 1969, di questo ritrovamento il prof. Caponi diede subito notizia al dott. Nini, il quale, inizialmente, ipotizzò che si trattasse dei resti di un antico molino. Nel corso dello stesso anno però, entusiasmato dal ritrovamento delle strutture verosimilmente portuali (che erano state mostrate solo a una piccola cerchia di amici del posto, appassionati e studiosi di antropologia e di archeologia, il dott. Luigi Campana, il dott.Flaviano Faveri e il sig. Orlando Agostini), continuò con loro l'esplorazione dei luoghi adiacenti, indagando là dove il gesuita Cardoli non si era spinto perché “alcuni strati di acque stagnanti impedivano di fare innanzi”. Queste ricerche lo portarono subito a scoprire un'altra area archeologica che, per la vicinanza al porto e per le sue caratteristiche, si configurava come un cantiere navale, vicino al quale, sulla opposta sponda del fiume, era situata una cava laboratorio per ancore in pietra. La notizia del ritrovamento del porto e del cantiere navale venne divulgata (gennaio 1992) e riproposta (aprile 1997) dall'emittente locale ternana “Tele Galileo” nel corso di due trasmissioni condotte da Wilma Lomoro a cui partecipò lo stesso prof. Caponi. A gennaio del 2006, nel corso di un'ulteriore trasmissione, viene annunciata l'imminente pubblicazione (aprile 2006) del volume I segreti del porto etrusco e il cantiere navale di Narnia, in cui Alvaro Caponi raccoglie e documenta i risultati di anni di ricerche e di studi.
Nei primi anni del 2000 il giovane pubblicista ternano Christian Armadori, portato sul posto da un neofita (a cui il dott. Luigi Campana aveva mostrato il sito) di nome Claudio Maturi, con la prospettiva di un articolo per divulgare l'argomento, è rimasto affascinato dalla scoperta e ha deciso di intraprendere un'apposita ricerca. Nel 2006 è nata quindi l'associazione culturale Porto di Narni Approdo d'Europa con lo scopo di porre il sito archeologico all'attenzione delle istituzioni. Il 29 gennaio 2006 sono intervenute sul posto le telecamere di Rai 3 Umbria, mentre il 26 marzo 2006, in una visita guidata ai reperti organizzata dai soci, anche il sindaco di Narni Stefano Bigaroni ha voluto accertarsi di persona circa l'entità del reperto. Gli studi condotti dai volontari, con l'avallo di alcuni esperti dell'Università degli Studi di Perugia per conto di una prestigiosa casa editrice, hanno poi faticato per reperire i fondi necessari per la pubblicazione. È solo nel febbraio del 2012 che la ricerca scritta da Armadori è quindi andata alle stampe: l'obiettivo è quello di servire da stimolo affinché l'area archeologica sia adesso recuperata e indagata scientificamente in profondità.
I resti si trovano all'interno di un canale artificiale scavato nella roccia, lungo circa 280 m, un tempo unito al fiume Nera, a monte ed a valle, come rilevano alcune mappe catastali. Si tratta di due pareti tagliate, opposte e distanti l'una dall'altra circa 16,5 m, che presentano una serie di buchi squadrati su tre file, per un totale di 30 incisioni a parete secondo le misurazioni effettuate sul posto da chi si era preso cura di ricostruirne il disegno (sono 27 in totale quelli ancora visibili). La funzione di tali fessure è stata interpretata facendo riferimento al bisogno di stabilità dell'imbarcazione in fase di assemblaggio, potendo fare da incassi per l'inserimento laterale di puntelli a sostegno. Intervallandosi i buchi per circa 13m a parete, e considerando come la puntellatura non riguarderebbe prua e poppa (ovvero le parti più sottili di un'imbarcazione), le misure sono parse piuttosto consistenti per dei semplici zatteroni fluviali, tanto più considerando la notevole distanza tra una parete e l'altra. Si è preferito finora adoperare prudenza nel parlare di quinqueremi o triremi romane senza avere i necessari raffronti, specie se si considera come neppure gli storici abbiano stabilito con esattezza la misura di tali navi da guerra. Si è tuttavia concordi nel parlare di imbarcazioni a ridotto pescaggio quindi potenzialmente adatte per discendere l'ultimo tratto del fiume Nera, copiosissimo, prima di gettarsi nel Tevere. Le ragioni di una struttura cantieristica piuttosto lontana dal mar Tirreno, ma comunque ad esso ben collegata attraverso la via d'acqua, si rifanno invece all'abbondanza di materie prime offerte dal territorio dell'Umbria (legname di diversa qualità), con il comprensorio narnese caduto sotto la dominazione romana già dal 299 a.C. È interessante poi constatare come gli autori classici del periodo, incluso quel Polibio da ritenersi lo storico per eccellenza delle Guerre Puniche, non abbiano fornito grosse indicazioni rispetto alla posizione dei diversi arsenali romani. L'esigenza di sicurezza potrebbe collegarsi alla scelta di costruire imbarcazioni nell'entroterra, senza quindi esporsi alle potenziali minacce nemiche dal mare. Ed è difatti all'interno della città di Roma, nella zona del Campo Marzio, che gli storici moderni pongono la collocazione dei "Navalia", dovendosi ritenere che quella di Stifone, laddove venisse confermata una qualsiasi attinenza con quel periodo, possa essere stata solo una delle diverse strutture cantieristiche utilizzate all'epoca. Noto peraltro quanto fu imponente lo sforzo bellico che nel 261 a.C. vide la flotta romana scendere sul mare a combattere contro Cartagine nella prima guerra punica. Doveroso però ribadire come, per alcuni aspetti della scoperta, si tratti al momento di ipotesi generalmente condivise ma ancora al vaglio.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cantiere_navale_romano_di_Stifone