La cappella di San Brizio, o cappella Nova, si trova nel transetto destro del duomo di Orvieto. È celebre per il ciclo di affreschi con Storie degli ultimi giorni, avviato nelle vele da Beato Angelico e Benozzo Gozzoli nel 1447 e completato da Luca Signorelli nel 1499-1502.
Per l'originalità spaziale e iconografica e per la singolarità del tema, la cappella costituisce un unicum nell'arte.
L'edificazione della cappella iniziò nel 1396 grazie al lascito testamentario dell'orvietano Tommaso di Micheluccio, che desiderava fosse creata una cappella intitolata alla Vergine Incoronata. Dal 1408 è documentato il primo maestro costruttore, Cristoforo di Francesco da Siena.
Si trattò di ampliare il corpo di fabbrica duecentesco di Lorenzo Maitani, studiando modi per integrare gli archi rampanti che sostenevano la struttura. Si finì per mantenere quasi tutto, con lo stesso forte spessore delle murature e con il mascheramento dell'arco rampante all'interno con un contrarco a tutto sesto dall'imposta molto bassa, che venne utilizzato per delimitare due cappelline: quella dei Corpi Santi di Faustino e Parenzo e destra e quella della Maddalena (poi detta di Gualterio) a sinistra. Il lavoro venne completato nel 1425.
Nel 1447 l'Opera del Duomo assegnò la decorazione ad affresco della cappella al Beato Angelico, che in quel momento era a Roma, al servizio di Niccolò V. L'artista fiorentino, che era già stato contattato l'anno prima dal maestro vetraio del Duomo di Orvieto Francesco Baroni, era infatti interessato ad allontanarsi dalla calura estiva romana, spostandosi infatti a giugno. Con lui viaggiò la sua comitiva di aiuti attivi anche nella Cappella Niccolina, come testimoniano i documenti di pagamento, in cui erano presenti Benozzo Gozzoli, Giovanni Antonio da Firenze e Giacomo de Poli; in città si aggiunse poi il pittore locale Pietro di Nicola Baroni.
Pare che il tema degli affreschi, il Giudizio Universale, venne deciso con la consulenza dell'Angelico, che era dopotutto frate domenicano ben preparato in teologia.
A Orvieto l'Angelico restò quindici settimane, riempiendo due delle enormi vele della campata sopra l'altare (Cristo Giudice tra angeli e Profeti): il fatto che due spazi così vasti venissero completati in tre mesi e mezzo dimostra la rapidità esecutiva della bottega dell'Angelico, con una limitata autografia del maestro, al quale sono assegnate solo alcune parti. Nel settembre 1447 Angelico e il suo entourage ripartivano per Roma, forse intenzionati a ritornare in terra umbra l'anno successivo. Ciò non avvenne e nel 1449 il contratto doveva essere già annullato, poiché il Gozzoli, in città dal luglio al dicembre di quell'anno, ormai affrancato dall'apprendistato, tentò senza successo di farsi riassegnare l'incarico.
Nel 1455, per proteggere meglio le volte dalle infiltrazioni, venne rialzato il tetto.
Il programma decorativo restò fermo per almeno quarant'anni, quando si provò di accordarsi Antonio da Viterbo detto il Pastura e soprattutto, per quasi dieci anni, col Perugino le cui richieste vennero però ritenute troppo onerose. Solo il 5 aprile del 1499 l'incarico di proseguire i lavori venne affidato a Luca Signorelli, pittore cortonese allora attivo tra Toscana, Umbria e Marche. Da un esame della ricca documentazione pervenuta appare chiaro che la scelta cadde su di lui per ragioni di convenienza economica (il prezzo proposto era più discreto di quello del Perugino) e per la fama di artista efficiente e rapido.
Il contratto venne infatti mantenuto con solerzia: un anno dopo, il 23 aprile 1500, le volte erano già concluse e l'artista aveva già preparato i disegni per il resto della decorazione "dalle volte in giù", che gli vennero allogate pochi giorni dopo per un costo di 575 ducati. Venne confermato il tema del Giudizio, sulla spinta dei turbamenti causati dal precipitare della situazione politica e sociale italiana negli anni novanta del Quattrocento e dei presagi catastrofici sull'avvicinarsi della metà del secondo millennio. Per le scelte iconografiche vennero espressamente interpellati dei maestri in teologia, tra cui dovette avere un ruolo di primo piano l'arcidiacono del Duomo Antonio Alberi, che si fece appositamente costruire una libreria accanto alla cappella dotandola di ben 300 volumi sulla teologia, la filosofia, la storia e la giurisprudenza. Tra le fonti letterarie usate ci sono sicuramente i Vangeli, l'Apocalisse di Giovanni, la Leggenda Aurea e anche le Rivelazioni di santa Brigida, che erano state stampate a Lubecca nel 1492. Inoltre l'artista, nell'elaborare le scene, dovette trarre spunto dalle stampe tedesche, se non l'Apocalisse di Dürer, pubblicata nel 1498, almeno le illustrazioni del Liber Chronicarum di H. Schedel edito a Norimberga nel 1493.
Già nel 1502 il ciclo era concluso in tutte le sue parti, anche se i pagamenti si protrassero almeno fino al 1504.
La cappella venne chiamata "Nova", essendo l'ultima eseguita dopo quella del Corporale, fino al 1622, quando vi fu traslata la venerata immagine della Maestà della Tavola, un dipinto miracoloso che si riteneva eseguito da san Luca, in realtà opera della fine del XIII o dell'inizio del XIV secolo. Questa reliquia veniva anche detta "Madonna di San Brizio", poiché nel 1464 era stata aggiunta accanto alla Vergine l'immagine del santo, poi rimossa; essa finì per dare il nome all'intera cappella, detta anche semplicemente di San Brizio.
L'altare detto "della Gloria", sulla parete di fondo, è opera di Bernardino Cametti del 1715, in marmo, commesso e alabastro. Il paliotto in velluto cremisi e argento risale al 1704 ed è opera del romano Angelo Cervosi. I sei candelieri in argento sulla mensa sono opera di Michele Borgianni (1711-1712), a cui ne vennero aggiunti altri quattro nel 1716.
A sinistra dell'altare, su un plinto ligneo, una lampada votiva in argento e smalti del 1947 (opera del cesellatore Maurizio Ravelli), venne consacrato per lo scampato pericolo dei bombardamenti durante la guerra.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cappella_di_San_Brizio