Il Duomo di Santa Maria delle Stelle è la Chiesa Madre della città di Comiso, in provincia di Ragusa. Ha la dignità di basilica minore.[1]
La basilica fu edificata tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo, su un terrapieno antistante le acque della Fonte Diana, dove si trovavano i resti di un tempio preesistente, d'impianto chiaramontano, dedicato a santa Maria del Mulino (per la vicinanza ad un antico mulino) e risalente al XII secolo.
Nei primi decenni del Cinquecento sulla parete esterna del transetto (lato sud-est) fu installato il primo «orologio del tempo», che più tardi, esattamente nel 1881, verrà sostituito da un orologio più moderno, mentre l'orologio antico verrà trasferito nella chiesa della Madonna delle Grazie.
Distrutta in gran parte dal disastroso terremoto del 1693, fu rapidamente ricostruita grazie al contributo del Conte Baldassarre IV Naselli e alle varie maestranze locali che si avvicendarono attorno al tempio, tra le quali lo scultore comisano Emanuele Lucenti, il quale si adoperò nell'intaglio delle modanature del tempio. I lavori di restauro, guidati dall'arciprete-parroco Francesco Maria Porcelli, furono così spediti che già il 13 dicembre 1699 il vescovo di Siracusa Asdrubale Termini poté riconsacrare il tempio, come testimonia una lapide commemorativa posta all'interno del duomo a destra della porta maggiore.
In questo periodo il complesso architettonico non presentava ancora la sua veste definitiva. Per questo motivo tra il 1735 e il 1740 la famiglia Naselli ospitò uno tra i principali esponenti del Barocco siciliano, nonché protagonista della ricostruzione della val di Noto dopo il terremoto del 1693, l'architetto Rosario Gagliardi, venuto a Comiso a seguito del marchese Trigona, per tracciare le direttive della sistemazione urbo-scenografica dell'intero complesso e in particolare della facciata (ricostruita dopo il terremoto del 1693 fino al completamento del primo ordine), secondo quelli che erano i canoni della cultura del tempo. Tale progetto tuttavia, di cui si conservano i disegni nell'archivio del duomo, non venne mai realizzato.
I completamenti del tempio furono portati a termine molto più tardi ad opera degli architetti Mariano Battaglia e Giovanni Galeoto: quest'ultimo progettò la snella cupola di stile neogotico, ultima nel 1894. La facciata, invece, fu completata nel 1936 con la costruzione della parte superiore e della torre campanaria, ad opera dell'ing. Santoro Secolo.
L'interno della basilica presenta varie opere d´arte, quadri, sculture sacre e monumenti funebri. Vi sono quindici altari distribuiti simmetricamente nella vasta superficie di 63 x 23 m: l'altare maggiore della navata centrale è dedicato alla nascita di Maria; l'abside di sinistra al SS. Sacramento; l'abside di destra a Maria SS. Addolorata; nelle testate del transetto troviamo a sinistra il Crocifisso e a destra la Madonna del Carmelo; gli altari della navata laterale di sinistra sono dedicati in successione a Maria SS. di Fatima, l'Adorazione dei pastori, S. Lucia, S. Rita da Cascia e al Martirio dei quattro santi coronati (Claudio, Nicòstrato, Sinforiano e Castorio); gli altari della navata laterale di destra sono dedicati in successione a S. Francesco di Paola, SS. Agostino e Monica, S. Antonio da Padova, SS. Pietro e Paolo e ai SS. Crispino e Crispiniano.
Nei vari secoli operarono nel tempio noti artisti del luogo, che produessero, tra le altre opere:
il soffitto ligneo, opera dell'affrescatore messinese Antonino Alberti, detto il "Barbalonga", realizzato nella prima metà del secolo XVII; l'opera si compone di cinque scene dell´Antico Testamento: «Il giudizio di Salomone», «Giuditta ed Oloferne», «Davide danzante davanti all'Arca» (tela più grande delle altre, situata a centro), «La regina Ester sotto le mura», «Rebecca al pozzo di Giacobbe»;
il fregio in stucchi del cornicione interno che sormonta gli archi acuti sostenuti da dodici colonne, decorato con rappresentazione di angeli che giocano, fogliame, frutta e paesaggi; tale fregio, insieme a quelli del catino absidale del coro rappresentanti il trionfo del SS. Sacramento, sono da attribuire alla scuola del palermitano Giacomo Serpotta;
l'altare maggiore in marmi policromi e lapislazzuli del secolo XVII;
una statua in alabastro della Madonna del Carmelo dei primi del Settecento, posta sull'altare omonimo, attribuita alla scuola del Gagini;
una statua in legno di Maria SS. Addolorata, acquistata a Napoli nel 1774, e portata in processione per la festa esterna, che si celebra in suo onore la terza domenica di maggio;
altre due statue lignee raffiguranti S. Giuseppe e S. Francesco da Paola;
il monumento funerario in marmi policromi del Principe Baldassarre V Naselli, collocato presso la cappella del SS. Sacramento, e realizzato poco dopo il 1753 (anno della morte del principe) dal palermitano Ignazio Marabitti;
un monumento sepolcrale di stile neoclassico della famiglia Ferreri di Passanitello, realizzato dallo scultore palermitano Valerio Villareale nei primi anni dell'Ottocento;
la cappella del SS. Sacramento, opera in marmi policromi con rilievi e finte strutture architettoniche, realizzata nel 1812 dal palermitano Giosuè Durante;
il fonte battesimale in marmo bianco di Carrara, realizzato nel 1798 da un anonimo scultore comisano, a spese del decano sac. Gaspare Ferreri.
Fra le tele: la «Natività di Maria», del 1698, attribuita a Carlo Maratta, posta sull'altare maggiore; tre tele di Giovanni Ulisse Ciriaci, raffiguranti l'«Immacolata Concezione», la «Presentazione di Gesù al tempio» e l'«Assunzione di Maria al cielo», poste sulle pareti laterali e sul soffitto dell'abside.
Esse furono commissionate al pittore romano nel 1707 da don Silvestro Ferrera, procuratore generale del principe di Aragona, e facevano parte di un più ampio ciclo pittorico dedicato alla Vergine Maria (in origine erano sette, tanto quanto le feste più importanti dedicate alla Vergine Maria, ma solo quattro sono pervenute ai giorni nostri).
Di interesse è anche la cassa organarica del Settecento, attribuita al sacerdote napoletano e costruttore di organi Donato Del Piano, vissuto tra il 1704 ed il 1785. La cassa organarica è stata restaurata nel 2010 dall'Istituto europeo del restauro di Ischia, sotto la direzione di Teodoro Auricchio.
La terza domenica di maggio si svolge la festa di Maria SS. Addolorata.
Da "Vicende storiche di Comiso" di Fulvio Stanganelli:
« Fino al 1764 la festa di Maria SS. Addolorata consisteva in poche e modeste manifestazioni di culto, organizzate la 3ª domenica di settembre dai sagristi madriciari, davanti a un'immagine appunto dell'Addolorata, venerata in una edicola tuttora esistente. Fu appunto in quell'anno (1764) che la Congregazione della Carità, essendosi con permesso vescovile del 4 maggio, trasferita dalla sua sede di S. Biagio alla Madrice, volle dare un segno tangibile della sua esistenza, onorando la sua Patrona nel giorno anzidetto, con illuminazione, processione del Sacramento, benedizione fatta all'aperto davanti a quella nicchia e sparo di petardi. Nel 1774 i madriciari acquistavano a Napoli una bella statua in legno dell'Addolorata, che accolsero e benedissero nella lor chiesa con grandi tripudi. Il loro scopo era chiaro: celebrare per la loro Madonna una festa vera e propria, cominciando col farla intervenire, il venerdì Santo 28 marzo del 1777, alla processione del Cristo morto dentro l'urna. Nel 1803 fu fatta una processione molto più chiassosa degli altri anni, il clou della quale fu sempre d'allora in poi l'intervento dell'onorata maestranza in tuba, giamberga e torcia, che dava un aspetto imponente e originale a quella religiosa manifestazione. Poiché avveniva però spesso che per l'instabilità della stagione, la festa, celebrata nel venerdì di Passione, non riusciva come ai più caldi madriciari sarebbe piaciuto, essi pensarono di trasportarla nella 3ª domenica di Maggio. Il 15 febbraio 1910 l'arcivescovo di Siracusa Mons. Luigi Bignami confermava e disciplinava la detta trasposizione. Per questa occasione il maestro Alfio Pulvirenti, direttore della Banda musicale, musicò l'Inno alla Madonna Addolorata, il cui testo era stato scritto dall'arciprete-parroco della Chiesa Madre, Mons.Francesco Rimmaudo».
Lo svolgersi della Festa:
Il primo evento ha luogo il martedì successivo alla domenica di Pasqua, quando, presso la sagrestia della Chiesa Madre, si insedia il Comitato dei festeggiamenti, presieduto dal Parroco, collaborato dal Vicepresidente, dal Tesoriere e dal Segretario. Non appena viene formato il Comitato, si dà inizio alla prima raccolta dei contributi da parte dei presenti, cui segue il suono festante delle campane e lo sparo beneaugurante e simbolico di sette bombe a cannone.
La domenica che precede la festa si svolge la “Cena”: ogni iniziativa richiede risorse, ed il popolo contribuisce alla festa non solo con offerte in denaro, ma anche con doni in natura, che sono raccolti a cura del comitato organizzatore la mattina e messi all'asta nel pomeriggio della domenica precedente la festa. È un momento atteso dalle persone dei vari quartieri, che spontaneamente preparano tavoli addobbati e pieni di doni. C'è di tutto: pasta, vino, salsiccia, liquori, il nostro tipico formaggio locale (il "cosacavaddu rausanu"), dolci di ogni genere, ortaggi, frutta, carne, ecc. Importante è la figura del banditore al quale è richiesta simpatia ed abilità; la prima, per intrattenere coloro che assistono interessati all'asta; la seconda, per spingere i presenti all'acquisto, elevando il più possibile il livello dell'offerta.
In preparazione della festa, nella Chiesa Madre si svolge un devoto Settenario (detto “a Sittina” composto prima del 1880): si tratta di sette strofe (chiamate in dialetto “spate”) cantate da due tenori ed un baritono in Chiesa Madre al termine della Messa vespertina. Le “spate” raccontano i sette dolori di Maria (1- la profezia di Simeone; 2- la fuga in Egitto; 3- il ritrovamento di Gesù nel tempio; 4- l'incontro di Gesù e la Madre sulla via del Calvario; 5- la Crocifissione di Gesù; 6- la morte di Gesù; 7- la deposizione con la sepoltura) e sono composte da otto ottonari piani, di cui le prime sei musicate a due a due per una voce, mentre l'ultima si canta a tre voci. La “Sittina” si svolge dal venerdì precedente la 2ª domenica di maggio al giovedì successivo. Il venerdì precedente la domenica della festa si svolge, invece, la Via Matris, una processione esterna con il quadro dell'Addolorata, nel corso della quale si canta per l'ultima volta la “Sittina”. Per tutta la durata del Settenario l'Altare Maggiore della Chiesa Madre rimane velato da una pregevole tenda di filet ricamata nel 1928 nel laboratorio della signorina Giuseppina Agosta. Il ricamo è costituito da un grande cuore trafitto da una spada, dai simboli dei quattro Evangelisti e dalle parole di Gesù a Giovanni: “Ecce Mater Tua”.
Il sabato vigilia della festa si tiene la processione detta “a piddiata ro mantu”, ovvero una processione dalla Chiesa di San Biagio alla Chiesa Madre con il prezioso manto di velluto blu notte che avvolge il simulacro, la spada, la raggiera e il fazzoletto che la Madonna stringe tra le mani. A tale processione segue quello che è tra i momenti più attesi e carichi di emozione, nonché suggestivi ed affascinanti della festa: la “Svelata”. È un momento molto atteso da tutti perché dopo un anno il simulacro settecentesco della Vergine Addolorata, gelosamente custodito nella nicchia dell'Altare laterale a Lei dedicato, riappare agli occhi dei tantissimi fedeli che gremiscono la Chiesa. Per l'occasione l'Altare Maggiore su cui viene disposto il simulacro viene adornato da un addobbo costituito da innumerevoli fiori, tende, stucchi, elementi architettonici appositamente creati, candelabri, ceri e quant'altro occorra a rendere l'addobbo dell'altare un elemento di sorpresa, di fascino e di distinguo della festa. La “Svelata” si celebra all'inizio della Messa pomeridiana e consiste nel ritiro della tenda di filet, accompagnato dal lancio di petali di rose e di volantini in tutta la navata centrale, nonché dallo sparo di una nutrita moschetteria, e dagli entusiastici “Viva Maria Addolorata!!!” che hanno inizio con l'apparire del simulacro dell'Addolorata. Subito dopo la “Svelata”, uno stuolo di voci bianche (circa 150 bambini) canta l'Inno all'Addolorata. È uno dei momenti più vibranti ed emozionanti della festa. Subito dopo l'Inno continua regolarmente la solenne Celebrazione Eucaristica.
L'alba della domenica della festa è salutata dallo sparo di un centinaio di colpi a cannone ed altri artifizi più elaborati, cui risponde il suono gioioso e festante delle campane della Chiesa Madre. Sin dal mattino i fedeli giungono a trovare posto nel vastissimo Duomo della Chiesa Madre per partecipare alla solenne Celebrazione Eucaristica e per fare affidamento alla Vergine Addolorata. Nel pomeriggio si assiste ad un altro momento cloue della festa: “a sciuta”. La Madonna, posta nel suo fercolo dorato, sospinto con devozione, entusiasmo e senso di appartenenza da circa 100 portatori, esce dalla “Matrice” tra gli entusiastici “Viva Maria Addolorata!!!” dei fedeli, lo scampanìo e il tradizionale “Trionfo di Maria SS. Addolorata” (la caratteristica marcia della festa eseguita dalle bande musicali). Subito dopo l'uscita, il fercolo fa trionfalmente ingresso nella vicina Piazza Fonte Diana, straripante di fedeli, ove il coro di bambini canta nuovamente l'Inno all'Addolorata, seguito dallo sparo di numerosissimi mortai a volantini e da una prolungata moschetteria. Segue poi la lunga processione per le strade cittadine fino alla mezzanotte, al termine della quale segue, come consuetudine e tradizione vuole, un imponente spettacolo pirotecnico, che conclude in maniera entusiasmante la ricca giornata di festa.
fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Maria_delle_Stelle