Le Terme di Caracalla o Antoniniane (dal nome della dinastia degli Antonini), costituiscono uno dei più grandiosi esempi di terme imperiali di Roma, essendo ancora conservate per gran parte della loro struttura e libere da edifici moderni. Furono volute dall'imperatore Caracalla sull'Aventino, tra il 212 e il 216, come dimostrano i bolli laterizi[1], in un'area nei pressi del Circo Massimo.
Queste terme erano le più sontuose della capitale dell'Impero, benché destinate all'uso di massa del popolino dei vicini quartieri popolari della XII Regio, mentre le classi sociali più altolocate erano solite frequentare le terme di Agrippa, quelle di Nerone o soprattutto le terme di Traiano sull'Esquilino.[2]
Le terme di Caracalla furono superate in grandezza solo da quelle, successive, di Diocleziano; tuttavia le rovine delle terme di Caracalla sono l'esempio più integro di grandi terme imperiali, libero da superfetazioni di epoca successiva.[3]
Secondo alcuni studiosi, contestati da altri,[1] la costruzione del complesso fu avviata nel 206 da Settimio Severo, capostipite della dinastia antonina; ma in ogni caso fu completata nel 216 da suo figlio Caracalla, salito al trono nel 211. Anche i loro successori Eliogabalo (218-222) ed Alessandro Severo (222-235) si interessarono alla costruzione e decorazione del recinto esterno dell'edificio.[4]
Per l'approvvigionamento delle terme nel 212 fu creato un ramo speciale dell'Acqua Marcia, uno degli acquedotti di Roma antica, l'Aqua Antoniniana, che oltrepassava la Via Appia sull'Arco di Druso.[3] Il complesso termale fu realizzato in un quartiere piuttosto povero della metropoli,[5] e per la realizzazione della spianata fu necessario sbancare abbattere gli edifici preesistenti e sbancare un'ampia area verso l'Aventino, e colmare con la terra di risulta il lato opposto.[6] L'accesso al grandioso complesso fu garantito dalla Via Nova, ampia strada probabilmente alberata.[7]
Vari lavori di restauro furono realizzati da Aureliano, Diocleziano, Teodosio[8] e fino all'epoca di Teodorico (474-526).[2] Polemio Silvio, nel V secolo, le citava come una delle sette meraviglie di Roma, famose per la ricchezza della loro decorazione e delle opere che le abbellivano.
Durante la Guerra gotica (535-553), in seguito al taglio degli acquedotti ad opera di Vitige, re dei Goti, dal 537 le terme cessarono di funzionare come tali.[9][10] Da allora e nel secolo successivo la parte centrale venne utilizzata come xenodochio, mentre l'area circostante fu usata come cimitero per inumazione.
Abbandonato e riutilizzato a varie riprese, anche a fini abitativi, l'intero complesso venne infine sfruttato come zona agricola, vigneto in particolare, ad uso di proprietari di ville vicine o di enti ed associazioni ecclesiastiche. Dall'abbandono nel VI secolo non venne però mai meno lo sfruttamento dei ruderi come cava per materiali anche di pregio (marmi e metalli) e per intere strutture (architravi, colonne, ecc.) da riutilizzare per l'edilizia di qualità: il Duomo di Pisa e la basilica di Santa Maria in Trastevere contengono, ad esempio, strutture architettoniche prelevate dall'area termale. Da rilevare anche la prolungata presenza, nelle vicinanze, di calcare per la trasformazione in calce dei marmi pregiati.
Le terme furono oggetto di scavo sin dal XVI secolo, quando, sotto il pontificato di papa Paolo III resero statue famosissime. Molte di queste opere, entrate nella collezione Farnese, presero in seguito la strada per Napoli, per vicende ereditarie e dinastiche. Tra i pezzi di scultura più celebri rinvenuti tra le rovine delle terme ci fu anche il torso del Belvedere, conservato ai Musei Vaticani,[11] che tanta importanza ebbe per l'arte dell'età manierista a partire da Michelangelo.
L'ultima colonna intera venne rimossa nel 1563 per essere donata da papa Pio IV al primo granduca di Toscana Cosimo I de Medici, che la fece collocare al centro di piazza Santa Trinita a Firenze,[12] dove divenne la Colonna della Giustizia.
Anche nel XIX secolo vi ebbero luogo numerosi scavi. Nel 1901 e nel 1912 furono liberati i sotterranei, lavoro che continuò nel 1938, quando si scoprì il mitreo, il più grande esempio conosciuto a Roma.
Presso le Terme di Caracalla vennero ospitate le gare di ginnastica delle Olimpiadi di Roma del 1960. Per tutta la seconda metà del XX secolo la parte centrale delle terme è stata utilizzata per concerti e rappresentazioni teatrali all'aperto e in particolare per la stagione estiva dell'Opera di Roma. Nel 2000 il complesso è stato liberato dalle strutture aggiunte per gli spettacoli.
A causa del terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009 l'edificio ha subito alcuni danni[13].
La pianta del complesso è ispirata al modello delle eleganti terme di Traiano sull'Esquilino, che diventerà il prototipo delle terme imperiali romane: vasto recinto quadrangolare adibito a servizi vari e corpo centrale propriamente balneare.[14]
Le Terme di Caracalla potevano accogliere più di 1.500 persone. Nella sua più ampia estensione, recinto compreso, l'edificio misurava 337x328 metri (comprendendo le esedre anche 400 metri), e il solo corpo centrale 220x114 metri,[8] con la sola stanza del calidarium che arrivava a 140 metri: solo le terme di Diocleziano saranno più grandi. L'orientamento non era centrato sugli assi, ma come nelle Terme di Traiano sfruttava al meglio l'esposizione solare, ponendo il calidarium sul lato sud e sporgente come un avancorpo.
Il recinto esterno era costituito da un portico, del quale si conservano scarsissimi resti. Dalla parte est (lato attuale viale delle Terme di Caracalla) una serie di concamerazioni (celle comunicanti tra loro) disposte su due piani sostenevano il terrapieno sul quale sorgeva il complesso.
Ai due lati del recinto, verso nord e sud, due grandiose esedre simmetriche contenevano ciascuna una sala absidata, preceduta da colonnato, probabilmente una palestra all'aperto,[14] da cui si accedeva a due ambienti minori di forma diversa: uno verso ovest a forma di basilica absidata riscaldata con ipocausto ed un altro verso est ottagonale, probabilmente un ninfeo per godere il fresco.[15]
Verso ovest, dalla parte dell'attuale viale Guido Baccelli, il terreno erano sostenuto da due piani di 64 celle comunicanti tra loro; al centro di questo lato si apriva un'esedra schiacciata, munita di gradinate, che nascondeva le enormi cisterne, poste in una doppia fila di ambienti e con una capacità massima di 80.000 litri.[3] Ai lati di essa vi erano due sale absidate adibite a biblioteche,[16] delle quali si conserva solo quella di destra. Una passeggiata sopraelevata seguiva il recinto sul lato interno ed era probabilmente porticata.
Lo spazio compreso tra il recinto ed il corpo centrale era occupato dalle aree verdi del grande xystus o stadio,[15] secondo il gusto dell'epoca.
Il corpo centrale era un blocco di ambienti a pianta diversa, di pianta più o meno rettangolare con l'avancorpo a forma rotonda che sporgeva sul lato sud-ovest. La pianta riprendeva quella delle altre terme imperiali, in particolare quelle di Traiano, con le sale più importanti lungo l'asse centrale e le altre disposte simmetricamente.
L'accesso avveniva tramite quattro porte, che immettevano in un ambiente laterale, oppure in uno dei due ambienti a fianco della grande piscina, la natatio, divisi da essa tramite un portico con quattro colonne. Qui iniziava il percorso del bagno, con gli esercizi sportivi di vario genere, che potevano svolgersi sia all'aperto che al riparo. Il percorso poteva essere compiuto su ciascuno dei lati, specularmente identici.
Dalla stanza di ingresso, sul lato opposto dell'accesso alla natatio, si giungeva in uno dei due ambienti a base quadrata, forse un apodyterium, lo spogliatoio. proseguendo verso il lato si arrivava a una delle grandi due palestre, poste simmetricamente lungo i lati brevi, con un cortile centrale (50x20 metri) chiuso su tre lati da un portico con colonne in giallo antico e copertura a volta. Oltre il portico delle palestre, sul lato interno, si apriva un emiciclo diviso da sei colonne, mentre il lato opposto, quello verso il recinto non colonnato, dava accesso a cinque ambienti, quello centrale con abside. Le grandi sale successive, sul lato sud-ovest, avevano forme e dimensioni varie (rettangolare, ellittica, quadrata, absidata), dotate di vasche. La stanza rettangolare, in particolare, caratterizzata da piccoli ingressi obliqui, che consentivano di evitare la dispersione del calore, era probabilmente il laconicum (bagno turco). Da qui si arrivava al calidarium, una grande sala circolare (solo in parte conservata) di 34 metri di diametro, con al centro una grande vasca circolare di acqua calda. La copertura era a cupola, sorretta da otto poderosi pilastri, dei quali restano in piedi solo quattro. Due file di finestroni ricevevano la luce solare dalla tarda mattinata fino al tramonto. Oltre alla vasca centrale si trovavano altre sei vasche lungo il perimetro, poste tra un pilone e l'altro.
Il calidarium, come già detto, si trovava sull'asse centrale, quindi era unico, come tepidarium, basilica e natatio. Il tepidarium era un ambiente più piccolo e temperato, a base circolare e tagliato ai lati con due vasche. La grande basilica centrale, misurante 58x24 metri aveva una forma a croce, coperta da tre grandi volte a crociera poggianti su otto pilastri fronteggiati da colonne di granito. Sui lati brevi si aprivano nicchie ellittiche con vasche dove doveva aver luogo il frigidarium: queste vasche di granito furono riutilizzate per le fontane di piazza Farnese[17]. Nella nicchia verso la natatio si trovano oggi quattro grandi capitelli figurati con divinità.
Il bagno terminava nella natatio, la piscina all'aperto, decorato da quattro enormi colonne monolitiche in granito: l'unica colonna superstite si trova, dal 1563, nella piazza di Santa Trinità a Firenze. La controfacciata qui presentava gruppi di nicchie a tre a tre sovrapposte su due piani, che contenevano statue.
Le terme erano dotate di un complesso reticolo di ambienti sotterranei, dove si trovavano le stanze di servizio che permettevano una gestione pratica del complesso termale del tutto nascosta agli occhi dei frequentatori. In uno dei sotterranei presso l'esedra di nord-ovest venne installato un mitreo, il più grande ritrovato a Roma, al quale si accede dall'esterno del recinto.
Numerose opere d'arte furono rinvenute nel corso degli scavi avvenuti in varie epoche, ma soprattutto nel XVI secolo: le tre gigantesche sculture Farnese, il Toro, la Flora e l'Ercole, ora al Museo archeologico nazionale di Napoli; il mosaico policromo con ventotto figure di atleti, scoperto nel 1824, ora ai Musei Vaticani. E inoltre busti degli Antonini, statue di Minerva, di Venere, una vestale, una baccante, e altre opere minori.
Oltre alle già citate vasche di piazza Farnese, altre vasche recuperate dal complesso si trovano ora nel cortile del Belvedere (Musei Vaticani). a Firenze la colonna della Giustizia proviene dalla natatio delle terme di Caracalla.