Il Palazzo Ducale, anticamente anche Palazzo Dogale in quanto sede del doge, uno dei simboli della città di Venezia e capolavoro del gotico veneziano, è un edificio che sorge nell'area monumentale di piazza San Marco, nel sestiere di San Marco, tra l'omonima piazzetta e il molo di Palazzo Ducale, contiguamente alla basilica di San Marco.
Contraddistinto da uno stile che, traendo spunto dall'architettura bizantina e da quella orientale, ben esemplifica di che intensità fossero i rapporti commerciali e culturali tra la Serenissima e gli altri stati europei, la sua bellezza si basa su un astuto paradosso estetico e fisico, connesso al fatto che la pesante mole del corpo principale è sorretta da quelli che sembrano esili colonnati intarsiati. Gli interni, oggi parzialmente privati delle opere che un tempo li decoravano, conservano ancora un'ampia pinacoteca, che comprende opere realizzate dai più famosi maestri veneziani, tra i quali Jacopo e Domenico Tintoretto, Tiziano Vecellio, Francesco Bassano, Paolo Veronese, Giambattista Zelotti, Jacopo Palma il Giovane, Andrea Vicentino e Antonio Vassilacchi.
Antica sede del doge e delle magistrature veneziane, fondato dopo l'812, più volte colpito da incendi e di conseguenza ricostruito, ha seguito la storia della Serenissima, dagli albori sino alla caduta: annessa Venezia al regno d'Italia e passato l'edificio sotto la giurisdizione di quest'ultimo, divenne sede museale. Oggi ospita la sede del Museo civico di Palazzo Ducale, parte della Fondazione Musei Civici di Venezia (MUVE), nel 2012 visitato da 1 319 527 persone.
Il primo Palazzo Ducale, del quale non rimangono resti, fu edificato ad Heraclia e lì si stabilì, attorno al 700, il primo doge della Repubblica di Venezia, Paolo Lucio Anafesto. Ad esso seguirono Marcello Tegalliano e Orso Ipato il cui assassinio, nel 737, portò all'istituzione di un magister militum eletto annualmente. Restaurata, nel 752, la carica ducale, fu costruita, su mandato del nuovo doge, Teodato Ipato, una nuova sede nella cittadina di Metamaucum, a sua volta trasferita nell'812 a Rivoaltus, l'antica Rialto, per ordine di Angelo Partecipazio. In questa località, ritenuta più sicura, fu eretto il nuovo edificio, avente l'aspetto di un castello, su un terreno di proprietà del doge stesso, nella stessa area occupata dall'odierno Palazzo Ducale. L'edificio fu completato sotto Pietro IV Candiano; doveva trattarsi di una struttura piuttosto solida perché riuscì a resistere a una rivolta popolare del 976.
Nel 998 Ottone III, recatosi a Venezia per incontrare il doge Pietro II Orseolo, venne alloggiato nella torre orientale del palazzo, rimanendo colpito dal lusso degli interni. Nel palazzo furono ospitati pure Enrico IV di Franconia, quando nel 1094 venne a Venezia per vedere le spoglie di Marco evangelista, e Enrico V nel 1116, dopo una ristrutturazione, non attestata dagli storici dell'epoca, conseguente a due incendi scoppiati in città nel 1105.
La prima grande ristrutturazione in stile bizantino, forse a cura di Nicolò Barattiero, che aveva eretto le colonne di San Marco e San Todaro e realizzato in una primaria forma il ponte di Rialto, risale al dogado di Sebastiano Ziani, accompagnata da una più generale riorganizzazione dell'area monumentale di piazza San Marco avvenuta tra il 1173 e il 1177, finalizzata a dare una sede alle varie magistrature. L'opera constò probabilmente nell'edificazione dell'ala prospiciente il rio di Palazzo su terreni acquistati dalle monache di San Zaccaria e nell'ampliamento delle aree marginali dell'edificio, determinando una consistente riduzione del molo. Al termine dei lavori papa Alessandro III e Federico Barbarossa, che grazie all'intermediazione dogale avevano sottoscritto un trattato di pace, giunsero a Venezia, ove l'imperatore rimase ospite a palazzo per due mesi.
Nonostante il palazzo non sia stato oggetto di alcuna ristrutturazione fino al 1301, svariati interventi ebbero luogo in quegli anni: una cappella dedicata a san Nicolò fu edificata da Pietro Ziani per ex voto di Enrico Dandolo, le storie della lotta tra Chiesa e Papato furono dipinte nella Sala del Maggior Consiglio mentre, sotto i dogi Renier Zen, Lorenzo Tiepolo e Giovanni Dandolo, fu selciata la piazza, fu introdotto il cerimoniale d'incoronazione, fu eretta una loggetta ai piedi del campanile e fu riportato il molo alle antiche dimensioni.
Pietro Gradenigo emanò un provvedimento che produsse un forte aumento del numero dei consiglieri (da 317 nel 1264 a 1017 nel 1311) e che di conseguenza rese necessario il trasferimento del Maggior Consiglio, collocato attorno al 1301 nella Sala oggi detta del Senato. Nel 1309, appena dopo questa ristrutturazione, i cui autori potrebbero essere stati Pietro Basejo o l'architetto Montagnana, citato dal Sansovino e dal Temanza, la sala si dimostrò troppo piccola e furono aperti cantieri nell'ala meridionale, che fu subito abbattuta e poi ripristinata entro il 1340. La prosperità economica del dogato di Giovanni Soranzo diede un grande impulso al cantiere, diretto da Pietro Basejo coll'assistenza di Filippo Calendario.
Sempre nell'ambito di questa ristrutturazione, la cappella di San Nicolò venne ampliata e decorata con le storie di Alessandro III, forse dal Guariento o da un non meglio precisato Paolo, al pianterreno vennero realizzate una gabbia per leoni e delle nuove celle e nel 1332 vennero sistemati i pozzi del cortile. Un documento relativo alla realizzazione di un leone marciano fa ritenere che l'accesso monumentale al palazzo in questo periodo fosse simile a quello attuale. Nel 1340 si diede ordine di completare il secondo piano dell'ala meridionale nella quale, sotto la direzione del Calendario e del Basejo, dopo un altro piccolo ampliamento, si operò lungo la facciata interna della Sala del Maggior Consiglio, edificando una scala e la relativa porta. A causa della partecipazione di vari addetti ai lavori alla congiura ordita da Marin Falier e di una epidemia di peste, intorno al 1355 i lavori furono sospesi, per esser poi ripresi da Lorenzo Celsi, pesantemente criticato per questa sua decisione. Sotto Marco Corner venne decorata dal Guariento e dal Pisanello la Sala del Maggior Consiglio ma, a causa di una serie di guerre che indebolirono economicamente la Repubblica, i lavori furono nuovamente interrotti sino a quando Michele Sten diede incarico di riprenderli.
Dopo che nel 1404 fu edificato il balcone che s'affaccia sulla laguna, Tommaso Mocenigo riuscì con difficoltà a far ristrutturare pure il fronte sulla piazzetta San Marco: i lavori s'avviarono nel 1424, dopo che il Maggior Consiglio aveva ritrovato la sua originaria collocazione. Il nuovo restauro si compì sotto Francesco Foscari, per opera dei Bon: venne eretta con vari ritardi la Porta della Carta, il cui cantiere non si concluse prima del 1452. Sotto Pasquale Malipiero venne completato il fronte verso la Piazzetta e furono dipinte le storie di Pipino e un mappamondo, mentre sotto Cristoforo Moro venne eretto l'Arco Foscari, sempre a cura dei Bon e sempre con un notevole ritardo. Nel 1468 la sala che poi sarebbe stata detta dello Scrutinio venne detta della Libreria, perché vi furono collocate le opere donate dal cardinale Bessarione, mentre nel 1473 si decretò di sostituire alcune delle opere della Sala del Maggior Consiglio, rovinatesi per le infiltrazioni: nei lavori, che si protrassero fino al 1495, furono impegnati tra gli altri Giovanni e Gentile Bellini, Giorgione, Tiziano, Tintoretto e Paolo Veronese.
Dopo che nel 1483 un incendio ebbe devastata l'ala orientale, i lavori di ricostruzione furono affidati ad Antonio Rizzo, che ordinò l'abbattimento dei settori coinvolti dall'incendio, l'edificazione del porticato e la ricostruzione della Scala dei Giganti per dare al palazzo un aspetto più omogeneo. Riaperto il cantiere nel 1493, Rizzo, accusato di aver rubato danaro pubblico, fuggì e il lavoro, quasi concluso, fu affidato ad interim a Pietro Lombardo. Di difficile attribuzione e datazione è la facciata sul Cortile dei Senatori. I lavori procedettero a rilento durante il dogado di Leonardo Loredan, periodo durante il quale si lavorava lungo il Canale, causa problemi strutturali si decise di intervenire nella Sala del Senato e si demolì una piccola cappella palatina: per permettere la convivenza di lavori e attività istituzionali, molti uffici furono trasferiti e furono aperti dei passaggi, non senza arrecare disturbo. Dopo che nel 1531 venne data l'attuale forma alla Sala dello Scrutinio, fu realizzato un orologio nel muro tra l'Anticollegio e il Senato e fu distrutta una piccola torre d'avvistamento. Sotto Pietro Lando furono decorate le sale di rappresentanza e sotto Francesco Donà si diede una svolta risolutiva al cantiere, affidato ad Antonio Abbondi, con la realizzazione del fronte orientale e dei balconi interni della Sala del Maggior Consiglio. Nel 1566 fu effettuata la posa di due statue di Jacopo Sansovino, Marte e Nettuno.
Nel 1574 scoppiò un secondo incendio che, controllato, non provocò danni strutturali rilevanti, ma distrusse molte opere d'arte. Scelto Antonio da Ponte come direttore dei lavori, con lui collaborarono Cristoforo Sorte, Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi. I lavori durarono molto più a lungo del triennio previsto, concludendosi solo all'inizio del XVII secolo anche a causa della peste.
Il terzo grande incendio scoppiò il 20 dicembre 1577 nella Sala dello Scrutinio: vennero distrutte molte opere d'arte e il tetto di piombo si sciolse. Dopo che i vari organi di governo ebbero trovato una nuova sede, ai numerosi architetti interpellati, tra i quali il Palladio, Francesco Sansovino e il Rusconi, si pose la difficile questione strutturale, che verteva principalmente sull'angolo verso il Ponte della Paglia. I pareri contrastanti portarono a una ristrutturazione durata quattro anni, consistente nella sostituzione di alcune strutture e che trovò una sua stabilizzazione col rientro in attività della Sala del Maggior Consiglio, avvenuto nel 1578.
I soffitti furono progettati da Cristoforo Sorte e da Antonio da Ponte, mentre l'ideazione dei nuovi cicli pittorici fu affidata a tre esperti tra i quali Gerolamo de Bardi: sui muri vennero rappresentati i volti dei dogi e le storie di Papa Alessandro III, mentre i soffitti avrebbero trattato i temi della guerra, delle gesta dei cittadini e delle allegorie. Tra i più celebri artisti contattati, Paolo Caliari, Jacopo Robusti, Jacopo Palma il Giovane, Francesco Bassano e Antonio Aliense: tutti i cantieri si conclusero entro il XVI secolo.
A cavallo tra la fine del XVI secolo e l'inizio del successivo ebbero corso altri due lavori, la riconversione del piano terra e la realizzazione delle Prigioni Nuove, affidati rispettivamente a Bartolomeo Manopola, che edificò il prospetto settentrionale della corte e completò la decorazione dell'Arco Foscari e ad Antonio da Ponte e Antonio Contin, che portarono a compimento il nuovo edificio entro il 1602.
Sotto Antonio Priuli fu realizzato un grande ampliamento dell'appartamento dogale in un edificio attiguo, poi distrutto. Posta nel cortile una statua di Francesco Maria I Della Rovere, si decorò la sala retrostante la Porta del Frumento, fu innalzato nella Sala dello Scrutinio un arco trionfale dedicato a Francesco Morosini, fu restaurata la Scala dei Giganti, furono realizzati i cinque finestroni affacciati sul cortile e furono ripristinati vari dipinti.
Dopo la caduta della Repubblica di Venezia il palazzo divenne una sede amministrativa e fu privato di molte opere d'arte: dal 1807 sede del Tribunale d'appello, divenne nel 1811 sede della Libreria Marciana e vi venne trasferito pure lo statuario archeologico. Gli uffici, la libreria e il museo vennero spostati rispettivamente nel 1821, nel 1904 e nel 1918: contestualmente furono effettuate altre piccole ristrutturazioni, che precedettero la conversione in museo e l'affidamento al Comune del complesso seguiti all'annessione al Regno d'Italia.
Il Palazzo Ducale si sviluppa su tre ali attorno ai lati di un ampio cortile centrale porticato, il cui quarto lato è costituito dal corpo laterale della basilica marciana, antica cappella palatina. Tutta la costruzione poggia, come nel caso di qualsiasi altro edificio veneziano, su uno zatterone composto da tronchi di larice, che a sua volta regge un importante basamento in pietra d'Istria. Le facciate principali, rivolte verso piazza San Marco e verso il bacino di San Marco, presentano dimensioni piuttosto simili, dato che quella affacciata sul molo è lunga 71,5 metri e sviluppata su 17 arcate, mentre quella sulla piazzetta, più lunga di un'arcata, misura 75 metri. Il terzo prospetto affaccia invece sul canale conosciuto come rio di Palazzo, attraversato dal Ponte dei Sospiri e che sfocia a mare in corrispondenza del ponte della Paglia.
Le due facciate principali del palazzo, in stile gotico-veneziano, rivolte verso la piazzetta ed il molo, si sviluppano su due livelli colonnati sovrastati da un poderoso corpo a marmi intarsiati in cui si aprono grandi finestroni ogivali, con un monumentale balcone centrale, a sua volta riccamente decorato, ed un coronamento di piccole cuspidi e da edicolette angolari, sostituente il tradizionale cornicione: nel complesso, la struttura presenta nella decorazione un chiaro richiamo agli stili architettonici orientale e, in minor misura, germanico, derivato in gran parte dall'elevato numero di contatti culturali e commerciali che s'ebbero tra i Veneziani e gli altri popoli mediterranei ed europei e alla conseguente importazione di materiali da quelle terre. Tra i due livelli del loggiato e la soprastante muraglia è presente un cornicione continuo, che divide il prospetto in due sezioni d'uguale altezza. Gli ariosi loggiati a colonnine ed archi ogivali traforati con quadrilobi, delimitati da balaustre e non basati sul modello tradizionale poiché leggermente inflessi, sono sorretti dal portico al piano terreno, che presenta la metà delle aperture e è decorato da capitelli finemente scolpiti. Come causa dell'aspetto ribassato degli arconi del pianterreno, qualcuno addusse l'aver rialzato il livello del suolo; come ciò sia però erroneo è dimostrato delle analisi realizzate da Angelo Zendrini e Giannantonio Selva, che hanno permesso di comprendere come quest'innalzamento, sì presente, sia stato di pochi centimetri.
Nel libro Meu sosia e eu Oscar Niemeyer dedica una sezione alla sua visione critica di questi colonnati, che descrive come "bellissimi". Niemeyer, intrattenendo un dialogo socratico con un ipotetico architetto razionalista, afferma che se le colonne, distanti dal suo gusto razionalista, fossero state realizzate in forme più semplici e funzionali, non creerebbero colle loro curve il così squisito contrasto che ora stabiliscono coll'ampia parete liscia che sostengono. Nel libro Niemeyer par lui-même Niemeyer afferma che Palazzo Ducale costituisce un monumento di estrema importanza nella storia dell'architettura e che la sua importanza risiede non solo nell'eleganza, ma anche nel corretto uso dei materiali. Niemeyer inoltre ha avanzato una critica ad Andrea Palladio, affermando che la sua teoria secondo la quale durante la ristrutturazione di Palazzo Ducale ciò che è più pesante sarebbe dovuto stare in basso e ciò che è più leggero in alto non sarebbe stata appropriata. In questo senso Niemeyer paragona Palazzo Ducale agli edifici moderni, essendo retto come questi ultimi su colonne.
Nella parte più antica, rivolta verso il molo, si trovano capitelli trecenteschi, mentre le sculture angolari sono attribuite a Filippo Calendario o ad artisti lombardi quali i Raverti o i Bregno: all'angolo fra la facciata sul mare e la facciata sul rio di Palazzo vi sono due altorilievi raffiguranti l'uno, quello in alto, l'Arcangelo Raffaele in atto di benedire e Tobiolo, l'altro, al di sotto, sopra il Ponte della Paglia, l'episodio biblico dell'Ebbrezza di Noè: sull'angolo è impostato il tronco della vigna, che divide in due parti la scena. Verso il mare c'è la figura dell'anziano Noè, nudo e barcollante, mentre verso il canale ci sono i due figli, uno dei quali copre le nudità del padre con un panno. All'estremità opposta, verso la Piazzetta, si trova, in alto, l'Arcangelo Michele con la spada sguainata, mentre in basso sono raffigurati in rigida posizione frontale Adamo ed Eva, separati da una pinta di fico sulla quale si avvolge il serpente con il volto di Satana. Eva regge il frutto del peccato, che indica con l'altra mano.
Al centro del prospetto si affaccia il balcone centrale della Sala del Maggior Consiglio, opera dei fratelli Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne, realizzato tra il 1400 e il 1404. Circondato da due importanti piedritti ottagonali, interrotti da nicchie e culminanti in piramidi, è diviso verticalmente in due sezioni di ugual sviluppo in altezza: l'una è costituita dall'apertura, l'altra dalla struttura decorativa soprastante; l'arco della finestra vera e propria è sostenuto da quattro colonnine in marmo verde e greco; il poggiolo è diviso in sei sezioni decorate ciascuna con quattro formelle; lungo i piedritti si allineano sei statue, quelle inferiori raffiguranti San Teodoro e San Giorgio (opera quest'ultima di Giovanni Battista Pellegrini ), quelle superiori la Temperanza, la Giustizia, la Fortezza e la Prudenza; sopra l'arco vero e proprio si trova un oculo murato (contenente un simulacro della Carità), affiancato dalle statue di Fede e Speranza; dall'iscrizione e dagli scudi si deduce che l'opera fu realizzata sotto Michele Sten. Sopra l'oculo, posto su di una mensola, si trova un leone marciano; sopra di esso, dentro a nicchie, si trovano le statue di San Marco, San Pietro e San Paolo; il coronamento fu ricostruito nel 1579 con il collocamento della Giustizia di Alessandro Vittoria.
La facciata verso la piazza fu costruita successivamente, a partire dal 1424, demolendo il primitivo palazzo fortificato ed utilizzando a modello la facciata verso il mare. La nuova ala, voluta dal doge Francesco Foscari (1423-1457), fu destinata alle funzioni della giustizia. Nel loggiato al primo piano, conosciuto anche come Loggia Foscara, è possibile notare due colonne realizzate in marmo rosso di Verona: tra queste due si leggevano le sentenze di morte che sarebbero state poi eseguite tra le colonne di San Marco e San Teodoro. Verso la piazzetta, alla tredicesima colonna del loggiato spicca la Giustizia in trono, mentre sull'angolo verso la Porta della Carta ci sono il Giudizio di Salomone e l'Arcangelo Gabriele, attribuiti a Bartolomeo Bono. I tre arcangeli, la cui raffigurazione avvolge i due fronti principali, hanno un ruolo primario nell'apparato decorativo in quanto dotati di un'importante funzione didascalica: Gabriele simboleggia la politica, Michele la guerra e Gabriele i commerci.
La balconata al centro dell'ordine superiore, con il Leone di San Marco, risale al periodo compreso tra il 1531 e il 1538 (secondo alcune fonti, nel 1536 ); fu progettata dal Sansovino, offrendo una serie di riferimenti a quella più antica posta sull'altro fronte: riguardo l'attribuzione fonti antiche volevano ricercare l'autore di quest'opera nei Lombardo, ma i principali rappresentanti di questa scuola all'epoca erano già morti e il protomastro della Repubblica di allora era proprio il Sansovino, alla cui bottega sembra essere riconducibile lo stile del balcone. Ai lati di questa struttura si sviluppano due nicchie con statue di Marte e Nettuno, sormontate da due Fame con fiaccola; anche il riquadro superiore, contenente una copia del gruppo scultoreo con il Doge Andrea Gritti ed il Leone di San Marco, distrutto durante l'occupazione francese nel 1797 e rifatto nell'Ottocento, è incorniciato da statue, l'una raffigurante Mercurio e l'altra Giove. Di Alessandro Vittoria è la statua raffigurante Venezia, posta al culmine della decorazione.
Porta della Carta.
Ingresso monumentale del palazzo, situato tra di esso e la basilica, deve probabilmente il suo nome all'usanza di affiggervi le nuove leggi e decreti o alla presenza sul luogo degli scrivani pubblici o ancora al fatto che vi fossero nei pressi gli archivi di documenti statali.
L'apparato scultoreo e decorativo, in origine dipinto e dorato, è ricchissimo. Nei due pinnacoli laterali vi sono due figure di Virtù cardinali per lato e a coronamento di tutta la struttura vi è un busto dell'Evangelista sovrastato dalla figura della Giustizia con spada e bilancia. Centrale nell'apparato è la raffigurazione del doge Francesco Foscari in ginocchio davanti al leone marciano: si tratta di un rifacimento ottocentesco, opera di Luigi Ferrari, in sostituzione dell'originale distrutto dai Francesi nel 1797.
Fu costruita in stile gotico fiorito da Giovanni e Bartolomeo Bono come risulta dall'iscrizione sull'architrave: OPVS BARTHOLOMEI (opera di Bartolomeo). Gli storici dell'arte si sono domandati però quale sia stato l'effettivo contributo dei Bono nella Porta della Carta; infatti essi a volte figurano ufficialmente come esecutori anche quando in realtà appaltarono la progettazione e l'esecuzione di alcune opere ad altri artisti. Attraverso analisi stilistiche e confronti la critica ha cercato quindi di risalire ai veri artefici del monumentale portale veneziano. Secondo alcuni sarebbero da attribuite ad Antonio Bregno le statue delle virtù poste sui pilieri. I documenti inoltre attestano che i Bono presero come collaboratore Giorgio da Sebenico; questo dato di fatto ha portato ad effettuare puntuali confronti tra le caratteristiche delle statue della Porta della Carta e quelle di altre sculture dell'artista dalmata. In base a questi studi, che hanno mostrato schiaccianti analogie, sono state attribuite a Giorgio da Sebenico le statue della Fortezza e delle Temperanza (quelle poste in basso sui pilieri) ed altre sculture della porta. Altri studiosi arrivano a concludere che il ruolo di Giorgio da Sebenico nella Porta della Carta fu anche più consistente e che i Bono affidarono al dalmata anche parte della sua progettazione; secondo i loro studi al dalmata andrebbe attribuito anche l'Arco Foscari, sempre al Palazzo Ducale. Oltrepassando la Porta della Carta si percorre il Porticato Foscari, iniziato anche questo dai Bono ma completato da Antonio Bregno, breve corridoio che termina con l'Arco Foscari e conduce al cortile interno, dominato dalla Scala dei Giganti.
Facciata verso il Rio di Palazzo.
La più recente del complesso è infine l'ala est, che prospetta sul Rio di Palazzo, edificata da Antonio Rizzo a seguito dell'incendio del 1483 in forme compiutamente rinascimentali. La sua datazione è consentita, similarmente a quanto riguarda la facciata verso il cortile, dalla presenza dello stemma del doge allora al governo, Giovanni Mocenigo, al potere dal 1478 al 1485; più precisamente, la sua edificazione proseguì fino al 1560 sotto la direzione di Antonio Abbondi. Lungo questo fronte l'apparato decorativo è ben più spoglio: vi fanno angolo le statue raffiguranti l'Ebrezza di Noè e il gruppo di Raffaele e Tobiolo; unica scultura integralmente posta su questo fronte è quella del cosiddetto Terzo figlio di Noè.
Il Cortile.
L'ingresso dei visitatori avviene oggi dalla Porta del Frumento, che deve il suo nome al fatto che in passato nei suoi pressi di trovava l'Ufficio delle Biade, che si apre al centro della trecentesca ala sud di fronte al bacino di San Marco. Percorrendo il corridoio di ingresso si raggiunge il cortile, completamente cinto da portici sormontati da logge, riproponenti lo schema esterno dell'edificio. Le facciate sul cortile furono realizzate durante il dogato di Marco Barbarigo e di Agostino Barbarigo, cioè tra il 1485 e il 1501: la datazione è così precisa in quanto sono presenti gli stemmi dei dogi che allora regnavano. Mentre le due facciate interne meridionale ed occidentale, in mattoni, conservano il caratteristico aspetto gotico veneziano delle corrispondenti facciate esterne, la facciata orientale del cortile, verso la quale conduce lo scalone monumentale, è caratterizzata da una decorazione marmorea in stile rinascimentale, su progetto dell'architetto Antonio Rizzo, conseguente alla radicale ricostruzione dell'ala a seguito del furioso incendio del 1483. È strutturata su quattro ordini: il primo a pilastri ortogonali che sostengono arcate a tutto sesto, il secondo con fasci di colonne e archi a sesto acuto, mentre i piani superiori sono ornati da una fitta decorazione a rilievo con motivi rinascimentali, molto raffinata, realizzata alla fine del Quattrocento da Pietro Lombardo insieme ai figli Antonio e Tullio.
Il quarto lato del cortile, a nord, confina con la Basilica di San Marco ed è occupato dal Porticato Foscari. Esso termina con il maestoso Arco Foscari, arco a tutto sesto realizzato in bianca pietra d'Istria e marmo rosso di Verona nella seconda metà del Quattrocento, mentre sul suo fronte sud è visibile la piccola facciata dell'orologio, realizzata nel Seicento ad opera di Bartolomeo Manopola ed ornata da sculture antiche di epoca romana. Di fronte all'Arco Foscari parte il monumentale scalone conosciuto come Scalone dei Giganti.
Nel cortile, nel quale si tenevano le cerimonie dell'incoronazione ducale, dei tornei e un'annuale caccia ai tori, troneggiano infine due grandi vere da pozzo per l'approvvigionamento idrico del complesso, il pozzo dell'Alberghetti e il pozzo di Niccolò de' Conti, capolavori di scultura manierista in bronzo. La pavimentazione in trachite ed elementi marmorei ricalca quella esterna della piazza.
I capitelli.
Lungo il loggiato ed il portico si ha modo di apprezzare una lunga successione di capitelli e rilievi di differenti epoche: quelli dirimpetto al molo sono di origine trecentesca, mentre quelli facenti parte della cosiddetta Loggia Foscara risalgono al XV secolo.
La colonna che fa angolo colla porta della Carta, oltre a sorreggere le statue dell’Arcangelo Gabriele e del Giudizio di Salomone, presenta un capitello sul tema della giustizia e dei legislatori; il secondo capitello tratta il tema dei fanciulli, il terzo quello degli uccelli, il quarto e il nono quello delle virtù e dei vizi, il quinto quello dell'insegnamento, il sesto quello dei mostri, il settimo quello dei vizi, l'ottavo quello delle virtù, il decimo quello della frutta, l'undicesimo quello delle dame e dei cavalieri, il dodicesimo quello dei lavori connessi ai mesi, il tredicesimo, caratterizzato al livello superiore da una personificazione di Venezia, quello del matrimonio, il quattordicesimo quello delle nazioni, il quindicesimo quello delle età dell'uomo, il sedicesimo quello dei mestieri, il diciassettesimo quello degli animali, il diciottesimo quello degli scultori. La colonna che fa angolo tra la Piazzetta e il Molo, contraddistinta dalla presenza sopra di un simulacro dell'Arcangelo Michele e sotto da quella del celebre gruppo Adamo ed Eva, presenta un capitello sul tema della creazione dell'uomo e dei pianeti.
Da questa colonna parte l'apparato decorativo affacciato sulla Laguna: il ventesimo capitello, secondo di questo prospetto, è decorato sul tema dei filosofi, il ventunesimo su quello dei veneziani, il ventiduesimo su quello delle dame e dei cavalieri, il ventitreesimo su quello degli animali, il ventiquattresimo su quello dei leoni, il venticinquesimo su quello delle virtù e dei vizi, il ventiseiesimo su quello degli uccelli, il ventisettesimo su quello dei vizi, il ventottesimo su quello delle virtù, il ventinovesimo su quello dei mostri, il trentesimo su quello di vizi e virtù, il trentunesimo su quello delle dame, il trentaduesimo su quello degli imperatori, il trentatreesimo su quello dei fanciulli, il trentaquattresimo su quello dei cavalieri, il trentacinquesimo su quello degli uccelli, il trentaseiesimo su quello dell'infanzia: su quest'ultimo pilastro si trovano pure le statue dell'Arcangelo Raffaele, di Tobiolo e di Noè, che concludono la facciata.