Il campanile di San Marco è uno dei simboli più importanti della città di Venezia. I veneziani lo chiamano affettuosamente El parón de casa (Il padrone di casa). Assieme all'omonima basilica e all'omonima piazza sottostante, da cui prende il nome, è il principale monumento di Venezia e uno dei simboli d'Italia.
Alto 98,6 metri è uno dei campanili più alti d'Italia. Si erge, isolato, in un angolo di piazza San Marco di fronte alla basilica. Di forma semplice, si compone di una canna di mattoni, scanalata, avente un lato di 12 metri e alta circa 50 metri, sopra la quale si trova la cella campanaria, ad archi. La cella campanaria è a sua volta sormontata da un dado, sulle cui facce sono raffigurati alternativamente due leoni andanti e le figure femminili di Venezia (la Giustizia). Il tutto è completato dalla cuspide, di forma piramidale, sulla cui sommità, montata su una piattaforma rotante per funzionare come segnavento, è posta la statua dorata dell'arcangelo Gabriele. La base della costruzione è impreziosita, dal lato rivolto verso la basilica, dalla loggetta del Sansovino.
La costruzione su cui poi venne eretto il campanile ebbe in origine funzione di torre di avvistamento e di faro e venne iniziata nel IX secolo durante il dogado di Pietro Tribuno su fondazioni, secondo una discussa ipotesi, di origine romana. La costruzione venne rimaneggiata nel XII secolo, durante il dogado di Domenico Morosini, su imitazione dei campanili di Aquileia e soprattutto di San Mercuriale a Forlì, e ancora nel XIV secolo, durante il quale furono chiamati ingegneri da Olanda e Francia per rinforzare la struttura.
La torre, già seriamente danneggiata nel 1489 da un fulmine, che ne distrusse la cuspide in legno, venne gravemente colpita da un terremoto nel marzo 1511, rendendo necessario l'avvio di opere di consolidamento. Questi lavori, iniziati dall'architetto Giorgio Spavento, vennero poi eseguiti sotto la direzione del bergamasco Pietro Bon, Proto dei Procuratori di San Marco, dando al campanile l'aspetto definitivo. In particolare venne riedificata la cella campanaria, realizzata in marmo, al disopra della quale, per dare maggiore slancio, venne realizzato un attico, sulle cui facce vennero poste sculture raffiguranti il leone di San Marco e Venezia, il tutto sovrastato da una slanciata cuspide in bronzo, per rendere la torre visibile dal mare. I lavori vennero completati il 6 luglio 1513 con il collocamento della statua in legno dorato dell'Arcangelo Gabriele, nel corso di una cerimonia di festeggiamento che viene ricordata da Marin Sanudo.
Nel 1609 Galileo Galilei utilizzò questo campanile per fare una dimostrazione del suo cannocchiale.
Nei secoli vennero fatti numerosi interventi, spesso per riparare i danni causati dai fulmini: a causa dell'altezza della struttura e delle strutture in ferro che la rinforzavano, il campanile era diventato un parafulmine naturale. Numerose furono le scariche atmosferiche che lo colpirono nei secoli, incendiandolo, facendogli cadere la cima o provocando squarci nella struttura. I maggiori danni sono riportati negli anni 1388, 1489, 1548, 1562, 1565, 1582, 1653, 1745, 1761 e 1762. Nel 1653 fu Baldassare Longhena a seguire i restauri. Altri ne vennero eseguiti dopo che, il 13 aprile 1745, l'ennesimo fulmine provocò uno squarcio della muratura, causando fra l'altro alcuni morti in seguito alla caduta di detriti. Finalmente nel 1776 il campanile venne dotato di un parafulmine.
Nel 1820, invece, venne sostituita la statua dell'angelo con una nuova, realizzata da Luigi Zandomeneghi e posta in opera nel 1822. In seguito al crollo del campanile del 1902 la statua dell'Arcangelo Gabriele venne danneggiata e il restauro fu affidato a Gioacchino Dorigo il quale, all'epoca, realizzava oggetti artistici in ferro battuto, rame e ottone per il suo negozio in Calle dei Fabbri. Nel 1962 lungo la canna del campanile è stato installato un ascensore che permette ai visitatori di ammirare il paesaggio di Venezia dall'alto raggiungendo la cella campanaria in 30 secondi. Nella notte fra l'8 ed il 9 maggio 1997, un gruppo di ammiratori della Repubblica di Venezia in seguito definiti Serenissimi occupò la piazza e il campanile di San Marco. Dopo poche ore l'intervento del GIS dei Carabinieri pose fine alla dimostrazione.
Durante la primavera del 1902, successivamente ad alcuni interventi sul paramento murario esterno, effettuati in maniera improvvida e a insaputa del proto della Basilica di San Marco, si manifestarono segnali preoccupanti sotto forma di screpolature e di una fenditura sul lato settentrionale che andò via via allargandosi. Alcuni sopralluoghi tecnici esclusero la presenza di problemi strutturali seri. Tuttavia, il 12 luglio furono rilevate la rottura di numerosi vetri "spia" e una copiosa caduta di calcinacci. La sera del 13 luglio fu interrotto poco prima dell'inizio, tra il malumore della folla, un concerto della banda del 18º reggimento di Fanteria che avrebbe dovuto tenersi nella piazza. Infine, la mattina di lunedì 14 luglio, alle 9.47, il campanile crollò (altre fonti indicano le 9.52 come ora del crollo): "La fenditura sul fianco del colosso si apre spaventosamente: lo specchio che fronteggia la Basilica si piega squarciandosi e mentre la folla lancia un urlo prolungato e si diffonde un cupo rumore di rovine e di schianti, l'enorme pinnacolo della cella campanaria dondola con due o tre lenti movimenti da destra a sinistra e da sinistra a destra, torcendo gli archi che lo reggono e spezzandoli: il colosso si accascia su se stesso e cede, cede insaccandosi. La terra traballa, si eleva una gigantesca nube di polvere e in essa si inabissa l'angelo d'oro... La polvere si rovescia per tutto, come la cenere di un'eruzione vulcanica, e acceca la gente terrorizzata che si disperde spezzando i vetri dei negozi in una fuga pazza". Poco prima, alle 9.30, una squadra di tecnici aveva appoggiato una scala per dei controlli e aveva dovuto fuggire precipitosamente riuscendo a fare sgomberare l'area circostante.
Non ci furono vittime tranne il gatto del custode (peraltro negata da alcuni giornalisti all'epoca) e, vista la posizione della costruzione, i danni furono relativamente limitati. Vennero distrutte completamente la loggetta alla base del campanile e un angolo della libreria del Sansovino. La "pietra del bando", un tozzo tronco di colonna in porfido, su cui al tempo della repubblica venivano bandite le leggi, protesse dalle macerie l'angolo della basilica di San Marco, salvandola dal crollo.
Nella serata il consiglio comunale, riunito d'urgenza, ne deliberò la ricostruzione, stanziando 500 000 lire per contribuire ai lavori. Il sindaco Filippo Grimani, durante il discorso in occasione della posa della prima pietra, il 25 aprile 1903, pronunziò più volte la famosa frase, che diventerà il motto di questa ricostruzione: « Come era, dove era. » I lavori, che videro tra l'altro il rifacimento dei leoni che erano stati scalpellati durante la dominazione austriaca, durarono fino al 6 marzo 1912; le macerie risultanti dal crollo, una volta recuperate le parti riutilizzabili, furono scaricate in mare vicino a Punta Sabbioni e il nuovo campanile venne inaugurato il 25 aprile 1912, in occasione della festa di San Marco. L'inaugurazione del ricostruito campanile fu celebrata anche con un'emissione filatelica, composta da due valori (5 e 15 centesimi di lira), nella cui vignetta, ai lati del campanile, campeggiano le iscrizioni: "Come era, dove era" sulla destra e le date del crollo e della fine dei lavori, in numeri romani, sulla sinistra. L'emissione fu venduta esclusivamente negli uffici postali del Veneto; circostanza, questa, simile nel campo filatelico a quella verificatasi nel 1910 con le emissioni che celebravano il cinquantenario del Risorgimento in Sicilia e del plebiscito dell'Italia meridionale (prima emissione commemorativa della storia filatelica italiana), emissioni che furono vendute rispettivamente soltanto in Sicilia e nelle ex province napoletane.
In passato, la base del campanile era circondata da osterie e botteghe in legno che vennero demolite in seguito a una delibera del consiglio comunale del 1872. Da queste deriva il modo di dire veneziano andemo a bever n'ombra (andiamo a bere un'ombra), contrazione metonìmica per andemo a bever en goto de vin al'ombra del campanil (andiamo a bere un bicchiere di vino all'ombra del campanile). Inoltre, ai tempi della Repubblica di Venezia, alcuni reati, in particolare se commessi dal clero, erano puniti col suplissio dela cheba ovvero con l'esposizione del condannato in una gabbia appesa al campanile.
Durante il carnevale di Venezia, il giovedì grasso, una delle attrazioni consisteva nello svolo del'angelo o del turco. Era l'esibizione di un equilibrista che scendeva dal campanile a una barca ancorata nel bacino di san Marco camminando lungo una fune. In seguito, probabilmente a causa di cadute, venne sostituito da una colomba di legno. Ancora oggi, con alcune varianti sul tema originale, si può assistere allo spettacolo del volo della colombina, durante la domenica precedente il giovedì grasso. Il tragitto però va dal campanile alla loggia del Palazzo Ducale, inscenando l'antico rito di omaggiare di uno scettro il doge che proclama l'inizio del Carnevale in un tripudio di coriandoli e palloncini. Per l'esattezza è il carnevale del 2001 che ha segnato un ritorno alla tradizione dei carnevali settecenteschi rimettendo in scena nuovamente, dopo secoli, il volo del'angelo, così come si svolgeva i tempi della Serenissima. Da quell'anno, infatti la manifestazione simbolo del carnevale, il volo dal campanile di san Marco al Palazzo Ducale, è tornata ad essere eseguito da una "Angelo" in carne ed ossa, sostituendo la più recente colombina pupazzo.